sabato 31 gennaio 2009

Shoah di ieri e di oggi

Ho l'impressione che si stia passando la misura. È di ieri il commento del padre Federico Lombardi, Direttore della Sala Stampa vaticana, sulla Shoah: "Chi nega il fatto della Shoah non sa nulla né del mistero di Dio, né della Croce di Cristo". Non voglio entrare nel merito della realtà della Shoah (questione su cui non posso pronunciarmi per incompetenza, ma su cui dovrebbero avere la possibilità di discutere liberamente gli storici), quanto piuttosto su una questione di metodo. Non mi sembra molto corretto trasferire un evento storico (che per tale motivo, ripeto, dovrebbe rimanere oggetto di libera disputa scientifica) su un piano teologico, trasformandolo cosí in una sorta di dogma da accettare senza discussioni, pena l'esclusione dalla fede della Chiesa ("non sa nulla del mistero di Dio, né della Croce di Cristo"). Non ricordo di aver sentito usare espressioni altrettanto forti quando si trattava, in altre occasioni, di difendere la fede cattolica. Né ricordo di aver sentito alcuna interpretazione teologica dell'olocausto dei nostri giorni, quello del popolo palestinese.
A questo proposito, giacché sono in vena di rivelazioni, permettetemi di riportare la mia lettera al padre Bernardo Cervellera, Direttore di AsiaNews, lo scorso 17 gennaio, in seguito alla pubblicazione di un articolo del francescano israeliano David-Maria Jaeger (C'è chi non capisce il "pacifismo" del Vaticano)

"Caro Padre Cervellera,
Sono ancora io (...) Ma oggi, dopo la pubblicazione dell'articolo di P. Jaeger, mi sembra di dover nuovamente intervenire, spero non precipitosamente, ma perché mi sembra che la posta in gioco sia veramente notevole.
L'articolo di P. Jaeger dimostra come, nella presente situazione, non sia possibile un atteggiamento di equidistanza. Non è un caso che sia un israeliano a difendere la posizione estremamente ambigua che la Santa Sede ha scelto di adottare. L'articolo di P. Jaeger dimostra che essere equidistanti, nelle presenti circostanze, significa prendere posizione, significa mettersi dalla parte dell'oppressore, significa dare per buona la propaganda diffusa da Israele, quando è sotto gli occhi di tutti la vera realtà: quella di un popolo che da sessanta anni è oppresso e che ora si vorrebbe definitivamente cacciare dalla propria terra. Non mi sembra che i profeti, di fronte a simili ingiustizie, fossero equidistanti; non mi sembra che Gesú, di fronte alle ipocrisie di scribi e farisei, fosse equidistante. Ci sono delle situazioni di fronte alle quali è inevitabile prendere posizione: non perché si debba intervenire nel conflitto, ma semplicemente perché bisogna dire la verità e denunciare l'ingiustizia. È ovvio che, in ogni caso, l'obiettivo è la pace; ma è illusorio pensare di poter costruire la pace sull'ingiustizia e sulla menzogna.
Ricordo che in altre situazioni la Santa Sede non ha esitato a prendere posizioni nette: si pensi alla ex-Jugoslavia o alle due guerre del Golfo. Anche a proposito della Terra Santa, un tempo la politica della Sede Apostolica, pur nel suo tradizionale equilibrio, era molto chiara. Da qualche anno essa è diventata estremamente confusa. Perché? Perché si vogliono avere a tutti i costi buoni rapporti con gli Ebrei? Basta vedere quanto siano apprezzate da parte ebraica tali attenzioni nella dichiarazione di questi giorni del rabbino-capo di Venezia: con Benedetto XVI "stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant'anni di storia della Chiesa"! Perché si ha paura di mandare all'aria i negoziati per l'attuazione degli accordi del 1993 (!) con lo Stato di Israele? Beh, allora significherebbe che le questioni di bottega sono piú importanti della verità e della giustizia. Se cosí fosse, sarebbe molto triste e la Chiesa dovrebbe prepararsi, ancora una volta, ad affrontare, ahimè, il giudizio della storia. Già, la storia... Mi sembra impossibile che proprio nel momento in cui la Chiesa si trova costretta a difendere uno dei suoi Papi (di cui, per altro, resta indiscussa la santità) dall'accusa di silenzio, stia commettendo esattamente l'errore che le viene addebitato. Che differenza fra l'atteggiamento risoluto di Pio XI e quello eccessivamente diplomatico di Pio XII! Pio XI non esitò a lasciare l'Urbe all'arrivo di Hitler; ebbe il coraggio di scrivere due encicliche contro Nazismo e Comunismo. Se vogliamo seguire quell'esempio, oggi come minimo si dovrebbe annunciare l'accantonamento di qualsiasi ipotesi di viaggio del Santo Padre in Terra Santa (a che pro? per stringere mani grondanti di sangue?). Ma non escluderei interventi ancor piú decisi, tipo — perché no? — il richiamo del Nunzio e una enciclica sul Sionismo, ideologia non meno perniciosa di Nazismo e Comunismo. Sto sognando? Forse; ma mi sembra che in una situazione del genere non si possa tacere. Non c'è ragion di stato che tenga. Finora l'unico che abbia avuto il coraggio di alzare sommessamente la voce è stato il povero Card. Martino. E la Segreteria di Stato? Completamente latitante. Non bisogna aver paura della verità; non c'è nulla da perdere. Prima o poi essa verrà a galla; ma a quel punto diventerà molto difficile trovare scusanti. Non si potrà dire: "Non sapevamo", quando la realtà è sotto gli occhi di tutti. Prego perché il Signore illumini e dia coraggio al Santo Padre e ai suoi collaboratori.
Un cordiale saluto".

Fin qui la mia lettera al P. Cervellera, dove appunto mi lamentavo del silenzio vaticano sulla vicenda di Gaza. Come mai allora, con una shoah in corso, nessun intervento, nessuna riflessione teologica? E ora non passa giorno senza un intervento sulla memoria dell'Olocausto?