giovedì 2 aprile 2009

Traduzioni: corrispondenza formale o equivalenza dinamica?

Lycopodium, inviandomi questo link, mi ha chiesto di esprimere un parere a proposito delle traduzioni liturgiche. Lo faccio volentieri, anche perché si tratta di un problema che ho sempre sentito molto.

Tradurre è, in sé, un'opera alquanto ardua. Non si tratta solo di rendere delle parole in un'altra lingua (questo lo può fare anche un traduttore automatico su internet, sappiamo con quali risultati), ma di esprimere un messaggio. E noi ci esprimiamo non solo usando determinate parole (che sono certamente importanti, visto che scegliamo certi termini piuttosto che altri), ma anche attraverso lo stile, i modi di dire (le espressioni idiomatiche), le allusioni; cose tutte ben difficili a rendersi in una lingua diversa. Per questo l'ideale sarebbe leggere i testi sempre nella loro lingua originale. Cosa praticamente impossibile, non solo perché non possiamo conoscere tutte le lingue, ma soprattutto perché, anche quando conosciamo una lingua (specie se si tratta di una lingua "morta"), non sempre possiamo cogliere, oltre il significato, anche le risonanze di un determinato termine o di una determinata espressione. Tanto per fare un esempio, tempo fa ho usato in un mio post il termine "velina": durante il fascismo tale termine aveva un suo significato, oggi ne ha uno completamente diverso. Come potrà anche solo fra cinquanta anni un lettore capire il significato di quel termine? Figuriamoci quando si tratta di termini usati molti secoli fa; ancor piú quando si tratta di una lingua usata per secoli se non addirittura millenni (come il latino) e nei contesti piú diversi: vi sembra facile riuscire a cogliere il preciso significato di una parola che può essere stata usata con diverse accezioni in tempi e luoghi diversi?

Personalmente ritengo che, prima ancora del problema delle traduzioni liturgiche, esista quello delle traduzioni della Bibbia, che ritengo un problema ancor piú grave e urgente. Soprattutto negli ultimi decenni abbiamo avuto un pullulare di traduzioni. Senza considerare le traduzioni protestanti, per limitarci alla Chiesa cattolica, soprattutto dopo la raccomandazione del Concilio a tradurre la Bibbia preferibilmente dai testi originali (Dei Verbum, n. 22), tutti si sono improvvisati traduttori, e ne è venuto fuori quel che ne è venuto fuori. Per poter tradurre dai "testi originali" (espressione alquanto discutibile, perché non possediamo i testi originali della Bibbia) bisognerebbe conoscere molto bene le lingue originali (ebraico e greco). E voi credete che esistano biblisti cosí preparati in tutte le regioni del mondo? Mi viene il vago sospetto che le tanto conclamate traduzioni dai testi originali non siano altro che ritraduzioni, talvolta anche piuttosto approssimative, di scadenti traduzioni nelle lingue europee (specialmente francese e inglese). Ne ho la prova qui dove vivo. Nella liturgia usiamo una traduzione tagalog non cattolica (mi chiedo: possibile che in tutte le Filippine non si trovasse un biblista cattolico capace di fare una traduzione decente della Bibbia nella lingua nazionale?), che a sua volta è una ritraduzione di una delle innumerevoli e discutibilissime traduzioni inglesi "in lingua corrente" (Good News Bible). Vi potete immaginare il risultato. Certe volte, preparando il vangelo della domenica, mi chiedo: ma che cosa sto leggendo, il vangelo o una libera parafrasi di esso?

Per quanto riguarda la Bibbia esiste un grosso dilemma. Esistono due differenti modi di tradurre: in inglese chiamano il primo modo "word for word" (corrispondenza letterale o formale); il secondo, "meaning for meaning" (equivalenza letteraria o dinamica). Anche quando studiavamo latino al liceo esisteva il problema di scegliere fra la traduzione letterale e quella libera. È ovvio che, quando traduciamo Cesare o Cicerone, quel che importa è riuscire a esprimere ciò che quegli autori volevano dire. Ma, nel caso della Bibbia, il problema è un po' diverso: la Scrittura è divinamente ispirata; non possiamo prendere troppo alla leggera la lettera, nella fretta di cogliere il significato. Anche perché non sempre il significato è cosí ovvio; il piú delle volte il significato è molteplice; talvolta esso rimane semplicemente nascosto. Per cui una traduzione "meaning for meaning" si risolve necessariamente in un'arbitraria interpretazione del traduttore, che oltre tutto impedisce al lettore di scoprire per suo conto altri legittimi significati. Pertanto, quando si tratta di Bibbia, non avrei alcun dubbio a scegliere una traduzione letterale. Ne abbiamo due splendidi esempi: la Septuaginta (la traduzione dell'Antico Testamento dall'ebraico in greco) e la Vulgata (la traduzione di Antico e Nuovo Testamento in latino). Anche in inglese hanno avuto due ottime traduzioni letterali della Bibbia: la cattolica Douay-Rheims (condotta sulla Vulgata) e la protestante King James (fatta sui cosiddetti "testi originali" del tempo, in molti casi assai meno sicuri della Vulgata).

Si dirà: va bene una traduzione letterale, ma bisogna che essa sia leggibile; per cui si dovranno pur fare degli adattamenti alla lingua parlata in modo che la traduzione risulti comprensibile. Proprio gli esempi su riportati (in particolare la Vulgata e le due traduzioni inglesi) dimostrano che, anche se all'inizio una traduzione letterale può apparire un tantino ostica (e quelle traduzioni sollevarono notevoli rifiuti), col tempo esse stesse influenzano o addirittura modificano la lingua e diventano alla fine dei capolavori letterari (la King James è ora considerata "the noblest monument of English prose"!). Perché questo non sarebbe piú possibile ai nostri giorni? Perché volere a tutti i costi rendere facile, comprensibile (diciamo pure banale) ciò che, per sua natura, facile non è?

Per quanto riguarda la traduzione italiana della Bibbia, quella della CEI, devo dire che non mi è mai dispiaciuta (forse perché è la traduzione che mi ha accompagnato in tutti questi anni). Non sarà una traduzione perfetta, ma mi sembra una traduzione piú che rispettabile. Trovavo la vecchia edizione molto bella anche dal punto di vista letterario (con i suoi pittoreschi toscanismi). La nuova versione, non la conosco ancora abbastanza. Per quel poco che ho potuto usarla, mi sembra ben fatta, anche se dovrò farci un po' l'orecchio.

Passando alle traduzioni liturgiche, premetto che, secondo me, non ce n'era alcun bisogno: una volta proclamate le letture in lingua volgare, la messa poteva continuare ad essere celebrata, seppure con un rito rinnovato, in latino. Anche senza aver studiato latino, una volta saputo che "Dominus vobiscum" significa "Il Signore sia con voi" (ma siamo poi proprio sicuri che si tratta di una traduzione esatta? non potrebbe piuttosto significare: "Il Signore è con voi"?), dove sta il problema? Io ho imparato a memoria le risposte della messa in latino quando avevo otto anni (facevo la seconda elementare); oggi che siamo tutti laureati è diventato un problema rispondere "Et cum spiritu tuo" a quel saluto? Oltre tutto, in un mondo globalizzato, sarebbe stato quanto mai opportuno usare un'unica lingua per la liturgia. Almeno noi in Italia abbiamo un'unica lingua per la liturgia dalle Alpi alla Sicilia; qui nelle Filippine si usano almeno sette diverse lingue locali: basta che vi spostiate di qualche chilometro e andate a messa, sarete impossibilitati a parteciparvi attivamente, con tanti saluti alla riforma litugica e all'actuosa participatio dei fedeli.

Ma, visto che le traduzioni liturgiche ci sono, che dire? Dirò che in tal caso una traduzione, pur fedele, non potrà essere assolutamente letterale. In tal caso sono per una traduzione "meaning for meaning". Le orazioni latine sono dei piccoli gioielli di retorica; mi dite voi come fate a rendere in lingua volgare il cursus di certi testi? L'unica possibilità che rimane è quella di riesprimere lo stesso contenuto in volgare, usando una forma non solo accettabile, ma anche un tantino letterariamente decorosa.

Quanto al Messale italiano, anche qui, forse perché ci sono "cresciuto insieme", non mi dispiace. Mi rendo conto che in certi casi si discosta un tantino dal testo originale, ma se non altro lo fa con una certa dignità. Soprattutto dopo aver conosciuto il Messale inglese (che sembra non aver niente a che fare con l'originale latino), il Messale italiano mi sembra quasi perfetto.

Per quanto infine riguarda l'ordinario della messa, non so nulla della nuova traduzione italiana in corso; per cui preferisco non pronunciarmi. Mentre conosco la nuova traduzione inglese, non ancora utilizzata, ma già approvata dalla Santa Sede, che mi sembra decisamente ben fatta. Per esempio, il banalissimo "The Lord be with you. – And also with you" è stato sostituito dal piú letterale "The Lord be with you. – And with your spirit". Nel Credo "one in Being with the Father" è stato rimpiazzato da un rigorosissimo "consubstantial with the Father". La formula di consacrazione del calice d'ora in poi sarà: "Take this, all of you, and drink from it, for this is the chalice of my Blood, the Blood of the new and eternal covenant, which will be poured out for you and for many for the forgiveness of sins. Do this in memory of me". Fedelissima all'originale latino. La formula di invito alla comunione sarà: "Behold the Lamb of God, behold him who takes away the sins of the world. Blessed are those called to the supper of the Lamb. – Lord, I am not worthy that you should enter under my roof, but only say the word and my soul shall be healed". Credo proprio che non si potesse fare meglio. Eppure sono già cominciate le polemiche... Potete immaginare. Penso che anche in italiano (dove le modifiche saranno certamente meno rispetto all'inglese) si seguiranno gli stessi criteri. Per cui, sono fiducioso, avremo una buona traduzione. Anche se... in latino sarebbe meglio.