domenica 31 maggio 2009

Domenica di Pentecoste

«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità».

Gli apostoli erano vissuti diversi anni con Gesú, avevano goduto della sua intimità, avevano ascoltato le sue parole, avevano veduto i suoi miracoli. Eppure... eppure non avevano capito quasi nulla di Gesú, del suo insegnamento, del suo mistero. Avevano certo percepito la grandezza di quest'uomo, avevano sperato in lui, si attendevano molto da lui. Ma poi, quando arrivarono al dunque, al momento della sua passione, la gran parte di loro fuggí, qualcuno addirittura lo rinnegò. Certo, con la risurrezione molte cose cambiarono, ma se ne stavano per lo piú chiusi nel cenacolo, per timore dei giudei.

Gesú era perfettamente consapevole di tale situazione, e per questo si trattenne dal dire tutto ai suoi discepoli; sapeva che non lo avrebbero compreso; molto probabilmente lo avrebbero frainteso. Gesú sapeva che la sua opera sarebbe rimasta incompiuta, finché non fosse giunto lo Spirito Santo a darle compimento. Solo con la venuta dello Spirito gli apostoli furono realmente trasformati: solo allora capirono chi realmente era Gesú; solo allora compresero il significato delle sue parole e dei suoi gesti; solo allora scomparve ogni paura e incominciarono ad annunciare a tutti la Buona Notizia.

L'esperienza degli apostoli è la nostra esperienza. Anche noi viviamo quotidianamente a contatto con Gesú: ascoltiamo la sua parola, partecipiamo all'Eucaristia, ci nutriamo del suo Corpo. Eppure... eppure spesso non capiamo; la nostra fede vacilla; la paura ha il sopravvento su di noi e ci impedisce di rendergli testimonianza. Anche noi abbiamo bisogno del Paraclito, dello Spirito della verità che ci guidi alla conoscenza di tutta la verità, dello Spirito della fortezza che ci dia il coraggio di portare a tutti il nome di Cristo. Veni, Sancte Spiritus!

sabato 30 maggio 2009

In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas

Un lettore spagnolo mi ha posto due questioni. Innanzi tutto mi chiede di commentare una frase di Kiko Arguello, fondatore del Cammino Neocatecumenale, che circola su internet:

«Ci permettiamo ricordare che sul Sacrificio della messa si insegna che il concetto di sacrificio è stato introdotto per compiacere i pagani al tempo di Costantino. In realtà la messa è solo una presenza-passaggio del Cristo che, ovviamente, dopo il passaggio, non rimane più dentro il pane, ecc. Tuttavia, questo non ditelo agli altri cristiani, perché non sarebbero ancora in grado di capirlo» (cf. Annuncio di Quaresima 2008).

Certo, se dobbiamo limitarci a commentare questa affermazione, non possiamo fare altro che dire che essa è erronea, non soltanto perché essa va contro questo o quel concilio, ma semplicemente perché essa è storicamente falsa: non è vero che "il concetto di sacrificio è stato introdotto per compiacere i pagani al tempo di Costantino". Un'affermazione del genere andrebbe accuratamente documentata. Io, che ho fatto la mia tesi di licenza in teologia biblica su questo argomento, posso dire, senza tema d'essere smentito, che da un'analisi storico-critica dei testi evangelici appare chiaramente che il valore sacrificale dell'Eucaristia è presente nelle stesse parole di Gesú (le famose ipsissima verba Jesu).

Detto questo, ripeto quel che ho già affermato in altra occasione: non mi piace fare processi sommari a nessuno; non mi piace giudicare le persone (e i movimenti) sulla base di citazioni isolate, della cui autenticità si può pure dubitare. Personalmente, non ho nulla a che spartire con Kiko e con il Cammino Neocatecumenale. Solo, mi limito a costatare alcuni frutti positivi che questa esperienza cristiana ha prodotto e continua a produrre nella Chiesa. Non escludo che ci possano essere degli aspetti negativi (dove non sono?), ma non è mio compito emettere giudizi in materia. Ho già detto che nella Chiesa c'è chi è preposto a tale servizio; so che l'approvazione degli statuti del Cammino ha richiesto molto tempo; mi sembrava che le questioni vertessero piú su alcuni aspetti liturgici che non dottrinali; in ogni caso pare che ormai tali statuti siano stati approvati. Possibile che la Santa Sede, in genere cosí attenta, non si sia accorta di certe eresie?

La seconda questione riguarda il mio riferimento a San Josemaría Escrivá de Balaguer e all'Opus Dei alla fine del mio precedente post. Il mio fedele lettore mi fa notare che le mie affermazioni non sono confortate da una conoscenza diretta o almeno sufficiente della realtà dell'Opus Dei. È vero, non ho mai avuto un'esperienza diretta di tale realtà ecclesiale; quel che dico si basa solo sulla lettura degli scritti di Mons. Escrivá. Il mio interlocutore mi rammenta che, nell'Opus Dei, accanto a tante cose buone, ce ne sono anche di cattive. Non ho mai pensato il contrario: non sono cosí ingenuo da credere che possa esistere una qualche realtà umana dove non esista il peccato originale. Non sono un manicheo: non divido il mondo fra buoni e cattivi; in tutti c'è un po' di bene (anche nei peggiori criminali) e in tutti c'è un po' di male (anche nei santi). Solo, mi sforzo di rilevare e valorizzare gli aspetti positivi presenti nella Chiesa, ben sapendo che tali aspetti convivono con tante limitazioni umane. Anzi, sono convinto che tutto questo faccia parte del mistero dell'incarnazione e della Chiesa (realtà divino-umana). È un mistero che dobbiamo accetare; non solo è illusorio, ma addirittura pericoloso pensare che sia possibile giungere, su questa terra, a una Chiesa di angeli. La Chiesa è fatta di peccatori, che hanno bisogno ogni giorno della misericordia di Dio.

Il mio gentile corrispondente mi fa pure notare che l'intuizione di Escrivá non è poi cosí nuova, ma faceva parte dell'eredità spirituale della Compagnia di Gesú; e mi cita un autore che non conoscevo, il Padre Jean Pierre de Caussade (1675-1751). Allo stesso tempo, mi rivolge un piccolo rimprovero, perché non ho fatto riferimento a un'altra interessantissima esperienza, ancora precedente (XVI secolo), quella dei "Maritati di San Paolo", il "terzo collegio" della Congregazione di San Paolo, fondata da Sant'Antonio Maria Zaccaria (essendo il "primo collegio" i Barnabiti, e il "secondo collegio" le Angeliche di San Paolo). A dire il vero, non mi ero affatto dimenticato di questa esperienza laicale del Cinquecento, ma non vi avevo fatto riferimento non per modestia, bensí perché non mi sembrava del tutto pertinente al punto che volevo sottolineare. L'esperienza dei primi "Paolini" è interessante perché formavano — sacerdoti, religiose e laici — un'unica famiglia; le loro missioni erano realizzate insieme. Il punto che evidenziare l'altro giorno era invece una specie di "primato" dei laici rispetto al clero, cosa che non mi sembra cosí evidente (almeno stando a quanto risulta dai documenti in nostro possesso) nell'esperienza zaccariana. Può darsi che invece questo aspetto fosse presente fra i Gesuiti; ma non ho sufficienti elementi per affermarlo.

In ogni caso, mi piacerebbe vedere nella Chiesa una maggiore stima reciproca. Qualche volta ho l'impressione che avesse proprio ragione il Papa quando, nel febbraio scorso, commentava la lettera ai Galati ai seminaristi di Roma:

«Nella lettera c’è un accenno alla situazione un po’ triste della comunità dei Galati, quando Paolo dice: “Se vi mordete e vi divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni con gli altri… Camminate secondo lo Spirito”. Mi sembra che in questa comunità — che non era piú sulla strada della comunione con Cristo, ma della legge esteriore della “carne” — emergono naturalmente anche delle polemiche e Paolo dice: “Voi divenite come belve, uno morde l’altro”. Accenna cosí alle polemiche che nascono dove la fede degenera in intellettualismo e l’umiltà viene sostituita dall’arroganza di essere migliori dell’altro».

Nella Chiesa d'oggi c'è una grande ricchezza: quante diverse realtà, quanti movimenti, quante esperienze spirituali! È qualcosa di cui dobbiamo rendere grazie al Signore. Ma il problema è che spesso ciascuso pensa che la propria esperienza sia esclusiva, l'unico modo autentico di vivere il cristianesimo. Che presunzione! Nella Chiesa c'è spazio per tutti: il mistero di Cristo è cosí vasto che non possiamo pretendere di esaurirlo con la nopstra piccola esperienza. Ciascuno di noi ha il suo carisma, con cui mette in luce e si sforza di vivere un aspetto di questo mistero inesauribile, lasciando agli altri di evidenziarne altri aspetti. L'umiltà, ci ricorda il Santo Padre, è alla base di ogni autentica esperienza cristiana: chi sono io per atteggiarmi a giudice degli altri? Io ho ricevuto un dono e mi sforzerò di viverlo come meglio posso; rispetterò gli altri, anzi renderò grazie al Signore, perché sono diversi da me. Ciò che importa è che siamo tutti uniti nella stessa fede: In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas.

giovedì 28 maggio 2009

Concilio e laici

Ho letto il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato martedí sera nella Basilica di San Giovanni in Laterano, per l'apertura del convegno ecclesiale della Diocesi di Roma. Solitamente, tali convegni non mi entusiasmano piú di tanto, perché ho potuto personalmente sperimentarne l'inconcludenza: assorbono molte energie senza dare alcun effettivo risultato. Fu lo stesso Cardinal Ratzinger a parlare, anni fa, di "Chiesa auto-occupata" e di "intellettuali di sacrestia": mentre la secolarizzazione (e l'Islam) avanzano, noi impieghiamo il nostro tempo in convegni autoreferenziali, che lasciano il tempo che trovano. Solo leggendo il discorso del Santo Padre mi sono rammentato che a Roma, negli anni passati, c'è stato un Sinodo diocesano seguito da una Missione cittadina. Qualcuno di voi se ne ricordava? Ma, a quanto pare, anche Papa Ratzinger è costretto a fare buon viso a cattiva sorte.

Nel suo discorso, Benedetto XVI ha toccato numerosi aspetti. Non è mia intenzione passarli tutti in rassegna; chi vuole, può leggersi il testo integrale del discorso su ZENIT. Qui vorrei solo soffermarmi su due o tre punti, che mi trovano particolarmente interessato.

1. Il Papa è tornato, ancora una volta, sul problema dell'interpretazione del Concilio. Dopo aver ricordato alcune delle principali definizioni di Chiesa che troviamo nel Concilio (mistero di comunione, popolo di Dio e corpo di Cristo), sottolineandone la complementarietà, il Pontefice ha fatto notare che non sempre e dovunque la dottrina conciliare al riguardo è stata recepita nella prassi e assimilata nel tessuto ecclesiale senza difficoltà e secondo una giusta interpretazione:

«Come ho avuto modo di chiarire nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre del 2005, una corrente interpretativa, appellandosi ad un presunto "spirito del Concilio", ha inteso stabilire una discontinuità e addirittura una contrapposizione tra la Chiesa prima e la Chiesa dopo il Concilio, travalicando a volte gli stessi confini oggettivamente esistenti tra il ministero gerarchico e le responsabilità dei laici nella Chiesa .
La nozione di "Popolo di Dio", in particolare, venne da alcuni interpretata secondo una visione puramente sociologica, con un taglio quasi esclusivamente orizzontale, che escludeva il riferimento verticale a Dio.
Posizione, questa, in aperto contrasto con la parola e con lo spirito del Concilio, il quale non ha voluto una rottura, un'altra Chiesa, ma un vero e profondo rinnovamento, nella continuità dell'unico soggetto Chiesa, che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre identico, unico soggetto del Popolo di Dio in pellegrinaggio».

Con tali parole, Benedetto XVI conferma ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che il Concilio non può essere considerato una sorta di "rifondazione" della Chiesa, un "nuovo inizio", ma solo un tentativo di rinnovamento nella continuità (ciò che può essere bene espresso con il termine di "riforma").

2. Quel tentativo di rinnovamento è stato utile, opportuno, necessario, ma non sempre coronato da successo:

«In secondo luogo, va riconosciuto che il risveglio di energie spirituali e pastorali nel corso di questi anni non ha prodotto sempre l'incremento e lo sviluppo desiderati. Si deve in effetti registrare in talune comunità ecclesiali che, ad un periodo di fervore e di iniziativa, è succeduto un tempo di affievolimento dell'impegno, una situazione di stanchezza, talvolta quasi di stallo, anche di resistenza e di contraddizione tra la dottrina conciliare e diversi concetti formulati in nome del Concilio, ma in realtà opposti al suo spirito e alla sua lettera».

È quanto ho cercato di esprimere, in maniera forse meno diplomatica, giorni fa nel mio post Eterogenesi dei fini. Da una parte le buone intenzioni, i pii desideri, le promesse e le speranze (una "nuova primavera dello Spirito", una "nuova Pentecoste"); dall'altra la dura realtà che ci sta davanti: chiese e seminari vuoti, ignoranza religiosa, secolarizzazione, apostasia.

3. C'è un altro punto che mi pare particolarmente interessante. Riguarda il ruolo dei laici nella Chiesa. Anche in questo caso si è fatta tanta retorica, si sono commessi anche tanti abusi, ma la mentalità è rimasta la stessa, cioè una mentalità "clericale". Si è pensato che, per promuovere i laici, bisognasse farne degli "operatori pastorali" (catechisti, lettori, accoliti, ministri dell'Eucaristia, ecc.), vale a dire dei "mezzi preti", dimostrando con ciò che il modello rimaneva pur sempre il prete, con il quale il laico, al massimo, sarebbe chiamato a "collaborare". E invece, sentite che cosa dice il Papa:

«È necessario ... migliorare l'impostazione pastorale, così che, nel rispetto delle vocazioni e dei ruoli dei consacrati e dei laici, si promuova gradualmente la corresponsabilità dell'insieme di tutti i membri del Popolo di Dio.
Ciò esige un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli "collaboratori" del clero a riconoscerli realmente "corresponsabili" dell'essere e dell'agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato».

La mentalità "clericale" ritiene che unico "soggetto" dell'apostolato sia la gerarchia (Papa, Vescovi, sacerdoti). Ad essi possono essere aggregati i laici, in qualità di collaboratori. È il modello della vecchia Azione Cattolica, non a caso entrata in una crisi irreversibile. Ora il Papa ci dice: non piú "collaboratori", ma "corresponsabili". Io aggiungerei: non solo i laici non devono essere piú considerati collaboratori del clero; ma il clero, d'ora in poi, dovrebbe essere considerato collaboratore del laicato, nel senso che il soggetto primo dell'apostolato sono i laici; i sacerdoti dovrebbero considerarsi al loro servizio (quello che Giovanni Paolo II voleva esprimere quando diceva che il sacerdozio ministeriale è a servizio del sacerdozio comune); il compito principale del clero dovrebbe esser la formazione del laicato (un compito di retroguardia, ma quanto mai prezioso). Chi aveva intuito, ancor prima del Vaticano II, tale "rivoluzione copernicana" fu san Josemaría Escrivá de Balaguer: l'Opus Dei realizza nella vita di ogni giorno tale intuizione. Sarebbe ora che anche il resto della Chiesa arrivasse, prima o poi, alla stessa conclusione.

martedì 26 maggio 2009

Ancora sull'Islam

Tanto per rimanere in tema, vorrei aggiungere due spunti di riflessione sull'Islam.

1. Un confratello brasiliano mi ha segnalato un v
ideo, preparato dalla Primeira Igreja Batista de São José dos Campos. Non lo posso incorporare, perché il codice è stato disattivato; vi do il link, sperando che funzioni. È in portoghese, ma non dovrebbe risultare difficile la comprensione (tenete presente che "taxa" non significa "tassa", ma "tasso"). Probabilmente è un tantino esagerato. Si ha l'impressione che i Battisti vogliano fare un po' di "terrorismo psicologico": nessuno contesta le cifre attuali; ma le proiezioni future sono, appunto, solo proiezioni. Inoltre dovremmo considerare diversi altri aspetti. Per esempio, possibile che i musulmani siano cosí forti da rimanere totalmente sordi alle sirene dell'Occidente? In secondo luogo, perché non pensiamo anche al fenomeno opposto? In alcuni paesi del Medio Oriente, i cristiani (soprattutto filippini e indiani) stanno diventando la maggioranza (anche se ancora senza alcun diritto). Infine, d'accordo che i Battisti sono, fra le comunità evangeliche, una delle poche ancora vivaci e attive; ma non sarebbe il caso che i protestanti incominciassero, anche loro, a fare un esame di coscienza sulle responsabilità che loro hanno avuto nella creazione della situazione attuale? In ogni caso, ben venga qualsiasi stimolo alla riflessione.

2. Un lettore genovese mi ha segnalato un articolo di Rino Cammilleri dal titolo Finanza & Islam. Potete leggerlo sul suo sito. L'articolo si rivela estremamente interessante innanzi tutto per la ricostruzione storica, che si allontana dalla vulgata corrente secondo cui il calvinismo sarebbe all'origine del capitalismo (la nota tesi di Max Weber in L'etica protestante e lo spirito del capitalismo). Come già sosteneva il mio professore Ovidio Capitani, all'origine del capitalismo ci sono i teologi francescani del Medioevo; il capitalismo è nato nell'Italia cattolica, non nell'Europa calvinista. Ebbene, è stato proprio nel momento in cui il capitalismo si è affrancato dalle norme etiche che originariamente lo limitavano, per fare del "Mercato" il suo unico punto di riferimento, è stato allora che il capitalismo ha iniziato il suo declino (nonostante i trionfi di facciata), fino ad arrivare alla crisi finanziaria attuale, che rischia di distruggere il sistema. Ebbene, in tale contesto, ci viene proposta, come alternativa, la "finanza islamica", che è arrivata, con secoli di ritardo, allo stesso risultato a cui erano arrivati i teologi francescani nel Medioevo. Cammilleri vede in ciò la mano di Dio: i musulmani ci ricordano ciò che hanno imparato da noi e di cui noi abbiamo deciso di disfarci. Non posso che concordare. Anzi, mi sembra di trovare qui la conferma a quanto dicevo nel mio precedente post: il cristianesimo può esercitare un forte fascino sui musulmani (al-Najjar, iniziatore della finanza islamica, si ispirò alla dottrina sociale della Chiesa). Non è forse un segno che il cristianesimo ha una marcia in piú, e che anche i musulmani saranno prima o poi costretti a fare i conti con esso?

domenica 24 maggio 2009

Ascensione del Signore

Nella celebrazione dell'Ascensione del Signore dobbiamo considerare due aspetti: uno riguardante Gesú, l'altro riguardante noi.

1. Con l'Ascensione si conclude l'avventura umana del Figlio di Dio. Incarnatosi, compie sulla terra la missione affidatagli dal Padre, che si conclude con la sua morte sulla croce. Con la Risurrezione l'umanità del Figlio di Dio viene definitivamente glorificata. Con l'Ascensione non cambia nulla nella condizione dell'Uomo-Gesú; semplicemente, cessa di essere visto dagli uomini. Non che smetta di essere presente nel mondo; solo, cambia la modalità della sua presenza. Siamo tentati di dire: una presenza invisibile, anziché sensibile. Ma non è del tutto esatto: Gesú può essere ancora "visto", ma in modo diverso.

2. Ecco dove noi siamo coinvolti nel mistero dell'Ascensione: oggi Gesú può essere "visto" nei suoi discepoli, nella sua Chiesa. Questa è la nuova modalità di presenza di Cristo nel mondo. Lui è il Capo, ormai nella gloria ("alla destra del Padre"), noi siamo il suo Corpo, materialmente, non solo spiritualmente, presente nel mondo. Di qui l'importanza delle ultime parole di Gesú prima di ascendere al cielo. Innanzi tutto, una promessa:

«Tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo ... riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni ... fino ai confini della terra».

Quindi un comando, con l'indicazione di alcuni "segni di riconoscimento":

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

Proprio perché siamo il "prolungamento" di Cristo nel tempo, dobbiamo, innanzi tutto, essere come lui: per questo abbiamo bisogno del suo Spirito, che ci rende simili a lui. In secondo luogo, dobbiamo fare ciò che lui fece: "Proclamate il Vangelo". Anzi, siamo chiamati a fare "piú" di quanto lui fece: lui non andò in tutto il mondo; non proclamò il Vangelo a ogni creatura. Non lo fece, semplicemente perché la sua umanità non glie lo permetteva. Ma ora noi — la sua Chiesa — possiamo e dobbiamo farlo. Dobbiamo farlo, perché lui ce lo comanda; possiamo, perché abbiamo ricevuto il suo Spirito. Quello Spirito che ci permette di compiere i segni che egli fece. Tali segni non sono il privilegio di qualche taumaturgo; sono il segno di riconoscimento dei veri discepoli: attraverso di essi è dimostrata l'autenticità della loro testimonianza.

Quale grande onore e responsabilità! Essere gli strumenti della presenza di Cristo! Il Risorto continua a essere presente nel mondo e ad agire in esso attraverso di noi!

sabato 23 maggio 2009

Eterogenesi dei fini

Chiedo scusa per l'involontario e non annunciato blackout, dovuto a cause indipendenti dalla mia volontà. In questi giorni sono rimasto assai colpito dalla lettura del post di Sandro Magister "L'Eurabia ha una capitale: Rotterdam", pubblicato sul sito www.chiesa. In esso viene riportato un impressionante articolo di Giulio Meotti per Il Foglio.

Qualcuno, che ha letto i miei post Il suicidio dell'Europa ed Europa (apostata) e Islam (credente), che hanno provocato un piccolo dibattito sul sito di Beatrice Benoît et moi (prima parte e seconda parte) — potrebbe meravigliarsi della mia meraviglia: Ma come — potrebbe obiettare — prima si augura, o perlomeno dichiara di non preoccuparsi dell'islamizzazione dell'Europa, e poi si scandalizza a leggere che tale islamizzazione è già in fase avanzata?

Devo riconoscere che talvolta esiste un gap fra i ragionamenti e le emozioni: anche se siamo convinti di certe cose, perché le abbiamo pensate a lungo, non è detto che poi rimaniamo indifferenti quanto siamo posti brutalmente dinanzi alla realtà. Tutti siamo affezionati alla nostra vecchia Europa, ricca di storia e di cultura, l'Europa cristiana che, oltre a esprimere uno stuolo innumerevole di santi, è stata capace di creare una meravigliosa civiltà. Per cui, quando qualcuno viene a dirci che le cattedrali sono state rimpiazzate dalle moschee, come possiamo rimanere insensibili?

Eppure dobbiamo guardare in faccia alla realtà: questo è ciò sta avvenendo in Europa. È inevitabile fare qualche riflessione, sia per quanto riguarda la società civile, sia per quanto riguarda la Chiesa. È molto significativo che ciò stia avvenendo proprio nei paesi da sempre considerati piú "avanzati" in Europa. L'articolo ci parla dell'Olanda: il paese della libertà assoluta, che era stato capace di superare tutte le vecchie "inibizioni" (puritane o cattoliche poco importa); il paese del Catechismo olandese, dove il "rinnovamento" conciliare era stato attuato nella maniera piú radicale, senza le remore della bigotta Italia e neppure le derive tradizionaliste della inquieta Francia. Tutto lasciava intravedere "le magnifiche sorti e progressive" di un paese finalmente affrancato dall'oscurantismo. E invece, che ti ritroviamo? Una delle principali città olandesi amministrata da un sindaco musulmano, con interi quartieri arabi, dove viene applicata la sharia e le donne camminano con lo chador (se non con il burqa). Che cosa è successo?

È successo quello che i filosofi chiamano "eterogenesi dei fini", vale a dire il raggiungimento di fini diversi, se non opposti a quelli che ci si era prefissi. Pensate: con la rivoluzione sessuale si era arrivati al punto di esporre donne nude dentro le vetrine; ora il corpo delle donne viene ricoperto con il burqa! La Chiesa cattolica aveva pensato di rinnovarsi col Concilio e oltre il Concilio; ora le chiese sono vuote, qualche volta distrutte, in altri casi riconvertite a usi profani, talvolta trasformate in moschee. Era questo l'obiettivo del Vaticano II? Eterogenesi dei fini... Non sempre avviene ciò che ci proponiamo. Perché? L'uomo non è l'artefice della storia, per quanto si illuda di essere onnipotente. Anche nella Chiesa, il Concilio, che doveva essere semplicemente ascolto di ciò che lo Spirito dice alla Chiesa e discernimento dei "segni dei tempi" (quelli veri!), per molti si è trasformato nel tentativo prometeico di cambiare tutto per rifondare la Chiesa secondo gli schemi ideologici di moda. Ecco il risultato: l'esatto opposto di quel che ci si proponeva.

È interessante notare che l'uomo, quando pretende di affrancarsi da qualsiasi vincolo, diventa schiavo; quando, in nome della ragione, distrugge la religione, cade nella superstizione; e la democrazia, quando vuole diventare assoluta, uccide sé stessa. Qualche esempio? Negli stati laici europei, a poco a poco, si è limitato lo spazio per il cristianesimo, per fare spazio alle altre religioni: nelle scuole non era possibile fare la preghiera (per rispetto verso i non-cristiani); ora però si allestisce una "stanza del silenzio", perché gli alunni musulmani possano pregare. Ancora oggi, in Italia, i paladini delle radici giudaico-cristiane dell'Europa mettono in guardia dal fare leggi confessionali; poi le democrazie piú avanzate, per rimanere fedeli a sé stesse, si vedono costrette a permettere l'adozione della sharia. Del resto, lo ricordava un vescovo turco a un sinodo di qualche anno fa: i musulmani sfrutteranno la nostra democrazia per raggiungere il potere e, una volta istallati al potere, imporanno a tutti la loro legge.

Che fare? Ormai è troppo tardi per correre ai ripari. La situazione è irreversibile. La società civile non riesce a esprimere nulla di meglio che i vari Fortuyn e Wilders, ex-cattolici, ex-marxisti, ex-tutto (siamo appunto nell'ex-Europa!). Ci sarebbe bisogno di una Chiesa viva, ma dove sta? Ormai la presenza cristiana (non solo cattolica) è ridotta al lumicino. Rimane solo la speranza che, come gli antichi barbari furono affascinati dal cristianesimo e dalla civiltà romana, cosí i musulmani rimangano anch'essi affascinati dal cristianesimo e da quel poco che rimane della "civiltà europea". Ma perché ciò avvenga, c'è bisogno di qualcuno che testimoni loro il Vangelo nella sua purezza: un piccolo gregge, che, per quanto piccolo, lasci intravedere quel "tesoro" che solo noi abbiamo, e permetta a quel "tesoro" di compiere la sua opera.

domenica 17 maggio 2009

VI domenica di Pasqua ("Vocem jucunditatis")

Mi pare che ci sia una specie di "filo rosso" che collega le tre letture della liturgia odierna: il primato dell'iniziativa divina. Leggiamo nel vangelo:

«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi».

Spesso, specialmente quando siamo impegnati in una vita di speciale consacrazione, pensiamo che questo sia il risultato di una nostra scelta, di una nostra decisione. E invece Gesú ci ricorda che la scelta è stata sua: è lui che ci ha voluti per sé; noi non abbiamo fatto altro che rispondere alla sua chiamata.

Giovanni, nella seconda lettura, ci rammenta una verità ancora piú importante. Affetti come siamo da una mentalità legalistica e pieni di zelo nel voler osservare il "primo di tutti i comandamenti" ("Amerai il Signore tuo Dio..."), spesso ci dimentichiamo che:

«In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi».

È lui che ci ha amati per primo; il nostro amore è solo la risposta — assolutamente inadeguata — al suo infinito amore per noi. È una pura illusione pensare di poter amare Dio, se lui non ci avesse amati per primo.

Anche nella prima lettura si parla di iniziativa divina. Chi ha deciso che a un certo punto si dovesse cominciare a evangelizzare i pagani? È stata la personale iniziativa di Pietro? È stata la collegiale decisione di un concilio? È stata semplicemente la volontà di Dio:

«Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola ... Allora Pietro disse: "Chi può impedire che siano battezzati nell'acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?"».

La decisione di Pietro e, successivamente, la discussione di un concilio ci sono pur state; ma sono state solo il discernimento della volontà divina. Gli apostoli non hanno fatto altro che "arrendersi" di fronte all'evidenza soprannaturale.

È Dio, dunque, a prendere sempre l'iniziativa. Noi non dobbiamo fare altro che rispondere all'azione divina. Eppure, Pietro intuisce che la parte dell'uomo non è solo successiva all'iniziativa di Dio: è necessario che ci sia, nell'uomo, una qualche "predisposizione", che permetta a Dio di agire (Dio non forza mai la nostra libera volontà):

«In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga».

Dio non fa discriminazioni; per lui siamo tutti uguali. Ma lui "accoglie chi lo teme e pratica la giustizia". Ci sono delle "condizioni" per essere ben accetti a Dio: il suo timore e la pratica della giustizia. Chi si trova in tale condizione (di per sé insufficiente a procurare la salvezza), è "aperto" all'azione di Dio; permette a Dio di salvarlo. Chi teme il Signore farà l'esperienza del suo amore.

sabato 16 maggio 2009

Un grande viaggio

Finalmente, il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa si è concluso. È tempo di tirare le somme. Non sta certamente a me fare un bilancio esaustivo del pellegrinaggio, anche perché sarebbe necessario averlo vissuto in prima persona: forse solo il Papa può esprimere un giudizio adeguato su come sono andate effettivamente le cose. Ma, per quel poco che mi è stato possibile percepire attraverso i media (soprattutto internet), mi sembra che si possano fissare alcuni punti.

1. Innanzi tutto, dobbiamo tirare un sospiro di sollievo per l'incolumità del Santo Padre. Forse voi penserete che, in fondo, non c'era motivo di preoccuparsi, che le mie erano solo le fisime di un inguaribile complottista. Sarà anche vero. Qualcuno però sostiene che non è inutile mettere in giro certe voci: servirebbe a bloccare eventuali male intenzionati (che si sentirebbero cosí scoperti). Non lo so. So di certo che non sono state inutili le innumerevoli preghiere che da tutta la Chiesa sono salite al Cielo per il suo Pastore.
In ogni caso, ora sono molto contento che le mie preoccupazioni non si siano realizzate.

2. Molti sono rimasti delusi per i risultati della visita:
— gli ebrei, perché allo Yad Vashem il Papa non ha parlato di nazismo, perché non ha pronunciato il numero magico "sei milioni", perché ha usato il termine "uccisi" e non "sterminati", perché non è entrato nel Museo (dove c'è la foto di Pio XII con la discussa didascalia), ma soprattutto perché non ha chiesto scusa per le colpe della Chiesa;
— i musulmani, perché Benedetto XVI ha incontrato i familiari del soldato Gilad Shalit e non quelli dei prigionieri palestinesi, perché è andato allo Yad Vashem a rendere omaggio alle vittime della Shoah, ma non è andato a Gaza a rendere omaggio alle vittime dell'odierno Olocausto;
— i cattolici, perché si è mancato di rispetto al Santo Padre, perché questa visita non è stato un "trionfo" come tanti altri viaggi.

3. Io, invece, penso che meglio di cosí il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa non potesse andare. Era impensabile che un viaggio tanto difficile potesse risolversi in una passeggiata; c'era da aspettarsi degli ostacoli. Ciò che conta è che il Santo Padre è stato bravissimo a superarli.
— Il primo aspetto positivo da rilevare è che questo viaggio è stato innanzi tutto quello che doveva essere: una visita ai cristiani del luogo; l'incontro del Pastore con il suo gregge. Potrebbe sembrare scontato; ma, almeno all'inizio, non lo era. La Terra Santa non appartiene solo a ebrei e musulmani; appartiene anche a noi. Per i cristiani la Terra Santa non è un museo da visitare; è il luogo dove vive una, seppur minima, comunità cristiana. Non si vorrebbe che, nelle attuali tensioni, chi alla fine è destinato a soccombere siano proprio i cristiani, costretti ad abbandonare la loro terra.
— Sul piano politico, il Papa se l'è cavata alla grande. Ovviamente, come abbiamo già rilevato, non ha potuto fare a meno di pagare un inevitabile pedaggio; ma — abbiamo visto — qualunque cosa egli dirà, non sarà mai sufficiente per certi accigliati rabbini. In ogni caso, Benedetto XVI non ha detto quello che non voleva dire (semplicemente perché falso): che la colpa dell'Olocausto è della Chiesa cattolica. Anzi, non so se avete notato che in uno degli ultimi discorsi, dove ha fatto esplicito riferimento al nazismo, lo ha chiamato una "ideologia senza Dio". Inoltre non ha avuto nessuna paura a riconoscere il diritto dei palestinesi a una loro patria e a denunciare pubblicamente, senza mezzi termini, il muro della vergogna che divide Israele dai Territori palestinesi. Di piú il Papa non poteva fare, anche perché non è suo compito assumersi responsabilità che competono ad altri (significativo il riferimento alla "comunità internazionale").

4. Il quotidiano liberal Haaretz sintomaticamente ha scritto: "Hanno vinto i palestinesi!". Questo descrive bene la mentalità con cui è stata vissuta da molti tale visita: una sorta di gara fra israeliani e palestinesi. Forse non ha tutti i torti: il viaggio del Papa ha mostrato al mondo da che parte sta il torto e da che parte la ragione. È sotto gli occhi di tutti l'atteggiamento petulante di Israele (a parte le polemiche, si potrebbe elencare tutta una serie di interventi tesi a boicottare la visita papale) e l'accoglienza calorosa riservata al Pontefice dalle popolazioni arabe (cristiane e musulmane). Ma, al di là di tale sbrigativa distinzione fra arabi e israeliani (che non rende ragione della complessità della realtà), Benedetto XVI, con il suo consueto stile energico e mite, spirituale e non politico, è stato capace di discriminare
fra gli estremisti e gli uomini di buona volontà: tra chi, in ogni campo, parla di pace (e semina odio) e chi, senza clamore e pagando di persona, costruisce una pacifica convivenza fra i popoli.

venerdì 15 maggio 2009

"Berranno presso di noi"

«Tutte le volte che nella Sacra Scrittura si nomina la sola acqua si proclama il battesimo, come vediamo significato in Isaia: "Non pensate piú alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa, per dissetare il mio popolo eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi" (Is 43:18-21). Per mezzo del profeta il Signore ha preannunziato che tra i pagani, nei luoghi che prima erano senz'acqua, sarebbero sgorgati fiumi sovrabbondanti che avrebbero dissetato l'eletto popolo di Dio, cioè quelli che mediante la rigenerazione del battesimo sarebbero diventati figli di Dio. Parimenti si predice e si preannunzia nuovamente che, se i giudei avranno sete e cercheranno Cristo, berranno, cioè conseguiranno la grazia del battesimo, presso di noi. "Se avranno sete, li condurrà per deserti; acqua dalla roccia egli farà scaturire per loro; spaccherà la roccia e sgorgherà acqua, e il mio popolo berrà" (Is 48:21)».

SAN CIPRIANO, Lettera 63, 8 (CSEL 3, 706), riportata nell'odierno Officium lectionis (ciclo biennale, anno I). Testo latino in Documenta catholica omnia.

Fede e opere

Un lettore dal Cile mi ha scritto, dicendomi che la sua bambina, che frequenta una scuola cattolica, è stata corretta dalla maestra di religione, perché aveva risposto che solo i buoni si salvano. Secondo la maestra, invece, tutti si salvano. Ho già risposto privatamente al gentile lettore in maniera molto semplice:

«Io direi: È vero che tutti possono salvarsi (perché la salvezza non dipende dai nostri meriti, ma è dono gratuito di Dio per tutti, buoni e cattivi); ma non è detto che tutti si salvino: dobbiamo accogliere il dono di Dio con la fede e manifestare questa fede attraverso le opere buone. Ed è su queste che saremo giudicati».

Ma, siccome viene toccato un tema davvero importante, sul quale spesso non abbiamo le idee molto chiare, vorrei tornarci in maniera un po' piú diffusa.

Si tratta del problema su cui, alle origini della Chiesa, si è consumata la rottura con il giudaismo e, nel Cinquecento, la rottura con i protestanti: il problema della giustificazione. La salvezza è il frutto dei nostri sforzi umani o è un dono totalmente gratuito di Dio? È su questo punto che vertono le polemiche di Gesú con i farisei e quelle di Paolo con i giudaizzanti. Successivamente ci fu un'analoga diatriba fra Agostino e i pelagiani. Venne quindi Lutero, che pensò di ritrovare lo stesso errore presente nella Chiesa cattolica e fece del sola fides, sola gratia uno dei capisaldi della Riforma. Dobbiamo riconoscere che effettivamente una certa predicazione e una certa catechesi potrebbero dare adito a una mentalità farisaica, giudaizzante, pelagiana ("per salvarsi basta osservare i comandamenti"). Ma non è questo l'insegnamento della Chiesa cattolica. Che cosa crede la Chiesa in proposito? Ovviamente si può far riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica, che ha delle pagine stupende in materia. Io ho cercato di riassumere la dottrina cattolica della giustificazione nel primo e nell'ultimo paragrafo della mia "Confessio Querculana", facendo ricorso ad alcune citazioni paoline:

«Credo che a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e cosí in tutti gli uomini si è propagata la morte, per cui tutti hanno peccato (Rm 5:12). Credo che tutti sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesú (Rm 3:23-24). Credo che l'uomo non è giustificato per le opere della legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesú Cristo (Gal 2:16)».

«Credo che per grazia siamo stati salvati mediante la fede; creati in Cristo Gesú per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo (Ef 2:8.10). Credo che in Cristo Gesú non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità (Gal 5:6). Credo che Dio ricompensa coloro che lo cercano (Eb 11:6), e renderà a ciascuno secondo le sue opere (Rm 2:6)».

Mi sembra che in queste citazioni ci sia un po' tutto. Nella prima serie di citazioni troviamo espressamente affermato che:

1. Siamo peccatori; ci troviamo cioè in una condizione da cui non possiamo risollevarci da soli; abbiamo bisogno dell'aiuto di Dio.

2. La salvezza è un dono gratuito della grazia, ottenuto attraverso la redenzione operata da Cristo.

3. Riceviamo tale dono con la fede, non con l'osservanza delle opere della legge.

Su questi punti dobbiamo essere molto chiari: non siamo noi che ci salviamo; è Dio che ci salva. Su questo, possiamo dire, aveva in qualche modo ragione Lutero; anche se la sua concezione non era completa, ma solo parziale. Non solo perché mancava di considerare l'altra faccia della medaglia (che vedremo immediatamente), ma perché non andava fino in fondo nelle sue stesse affermazioni: secondo lui, la grazia non risana realmente l'uomo, ma solo "copre" il suo peccato. Quando, giovane studente di teologia, lessi il Decretum de justificatione del Concilio di Trento, mi accorsi che la Chiesa cattolica era molto piú radicale di Lutero su questo punto.

Quale è dunque l'altra faccia della medaglia non considerata da Lutero? Quella che ho cercato di sintetizzare nella seconda serie di citazioni:

1. È vero che siamo salvati mediante la fede; ma siamo stati creati per compiere le opere buone. Le opere non sono il mezzo della salvezza, ma il loro fine: veniamo giustificati appunto per compiere le opere buone (che non sono piú, a questo punto, "opere della legge", ma "opere della fede").

2. È vero che ci salva la fede, ma tale fede non può essere "morta" (come dice san Giacomo), bensí "operosa per mezzo della carità".

3. Dio, oltre a essere creatore e salvatore, è anche remuneratore: "renderà a ciascuno secondo le sue opere". È su queste che verremo giudicati: "Avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete, e mi avete dato da bere...". "Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore" (san Giovanni della Croce).

mercoledì 13 maggio 2009

Scorrettezze

Credo che non ci sia molto da dire sulla visita del Papa in Terra Santa. I fatti parlano da sé: da una parte (fra gli arabi, cristiani e musulmani senza differenza) un'accoglienza cordiale, calorosa e gioiosa (per quanto segnata dalla sofferenza); dall'altra solo polemiche meschine, petulanti e villane, che non meritano la seppur minima considerazione.

La lista delle scorrettezze da parte israeliana si va di ora in ora allungando. Vorrei qui soffermarmi solo su una di queste, perché segnalatami da un lettore un tantino preoccupato: "Sarà vero?", mi chiede. Il motivo della preoccupazione è dato dal resoconto della visita di cortesia del Papa ai due Gran Rabbini di Gerusalemme (quello sefardita e quello askenazita), resoconto pubblicato sul Jerusalem Post di ieri.

Il titolo spara: "Il Vaticano sospenderà ogni attività missionaria fra gli Ebrei". Nell'articolo si spiega poi che il Rabbino Capo askenazita, Yona Metzger, ha ringraziato il Papa per il suo "annuncio", chiamandolo un "accordo storico". Chiedo: quando il Papa avrebbe fatto tale storico annuncio? Dove? A chi? Io non ne so nulla. Mi sono letto l'intero discorso pronunciato dal Papa (potete trovarlo qui; tenete presente che tale discorso ha fatto seguito agli indirizzi di saluto dei due Rabbini), ma non ho trovato alcun "annuncio". Due sono le cose: o si sono capiti male, o si tratta di una delle tante scorrettezze a cui stiamo assistendo in questi giorni.

In ogni caso, vorrei tranquillizzare i miei lettori. L'annuncio è falso; ma, se anche fosse vero, non avrebbe alcun valore, perché non è nei poteri del Papa decidere una cosa del genere. Ricordate quando gli apostoli furono portati davanti al sinedrio? Il sommo sacerdote disse loro: "Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome?" Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: "Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini" (At 6:28-29).

martedì 12 maggio 2009

Il Papa in Terra Santa

Chi mi segue regolarmente conosce la mia posizione sul viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa. A piú riprese ho rilevato l'inopportunità e la pericolosità di tale visita in questo momento, ma allo stesso tempo ho dovuto riconoscere la sua "inevitabilità". Come detto nei giorni scorsi, da parte nostra non possiamo fare altro che pregare, innanzi tutto per l'incolumità del Santo Padre (in particolare, vi invito a intensificare le preghiere domani, festa della Madonna di Fatima) e poi perché sia possibile uno di quei miracoli, che solo il Signore può fare, di trasformare cioè ciò che sembrava "inopportuno" in una "opportunità", per il trionfo della verità, per il ristabilimento della giustizia e per la restaurazione della pace.

Se posso esprimere un sommesso parere su come sta andando questo viaggio, direi che per il momento non ci si possa proprio lamentare. Dopo il grande successo in Giordania (e non poteva essere altrimenti: la convivenza tra cristiani e musulmani, checché ci vogliano far credere, è molto piú facile che non con gli ebrei), ho l'impressione che anche in Israele, Benedetto XVI se la stia cavando egregiamente.

Dopo aver pagato l'inevitabile pedaggio ("sei milioni di ebrei vittime della Shoah"; "l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo"), il Papa — come giustamente ci ha fatto notare Sandro Magister su www.chiesa — ha affrontato i temi sensibili (pace e sicurezza; Olocausto e antisemistismo) in maniera del tutto originale (come è suo solito), facendo diretto riferimento alla Scrittura. Non so se i suoi ascoltatori abbiano capito l'antifona. Certo, non possono in alcun modo attaccarlo su questo piano; devono limitarsi a deplorare che non abbia criticato il nazismo...

Si è molto preoccupati per l'intervento fuori programma dello sceicco Taysir Al-Tamimi durante l'incontro interreligioso al Centro Notre Dame di Gerusalemme. Personalmente ritengo che sia il minimo che potesse accadere. Come si può pretendere che non vengano fuori certe questioni in una realtà esplosiva come la Terra Santa? Tanto per cambiare, non sono affatto d'accordo con la dichiarazione di Padre Lombardi, che ha definito l'intervento una "negazione del dialogo". Chiedo: che cosa significa "dialogo"? Se dialogo significa dire solo ciò che l'altro si aspetta di sentire, lo trovo del tutto superfluo. Il bello del dialogo sta proprio nel fatto che ci costringe ad ascoltare ciò che è diverso da quel che noi pensiamo. Se poi qualcuno si alza e se ne va, vuol dire che non ha la coscienza cosí tranquilla...

Quel che invece mi lascia un tantino perplesso è l'aspetto piú "politico" degli interventi papali. Al suo arrivo in Israele, Bendetto XVI ha auspicato che "ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti"; mentre per i luoghi santi ha espresso l'augurio "che tutti i pellegrini ... abbiano la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni". In tal modo la Santa Sede fa definitivamente sua la soluzione al conflitto israelo-palestinese prospettata dalla "Road Map" e, per l'accesso ai luoghi santi, ripete le stesse esatte parole usate dal governo israeliano. Personalmente trovo la cosa piuttosto discutibile. Riconosco il tradizionale realismo della diplomazia pontificia, ma ricordo che la Santa Sede fino a qualche anno fa aveva, a proposito di Gerusalemme, una proposta originale e molto interessante: l'internazionalizzazione della Città Santa. Dove è finita tale proposta? Personalmente la considero estremamente attuale. Se per gli israeliani Gerusalemme è "capitale eterna" del loro Stato e se per i palestinesi — lo abbiamo sentito dallo sceicco Al-Tamimi — essa è "capitale eterna" della Palestina, l'unica soluzione realistica è, appunto, la cosiddetta "vaticanizzazione" della città vecchia. Se mi fa piacere che una proposta del genere sia ora rilanciata da un ebreo (Abraham B. Yehoshua ieri su La Stampa), mi dispiace che la Santa Sede l'abbia accantonata.

Quanto poi alla soluzione dei due Stati, a parte le perplessità che tale soluzione sia possibile, ritengo che sarebbe piú prudente rimanere nel vago. Chi ha detto che la creazione di due Stati "etnici" sia la migliore soluzione? Non si potrebbe legittimamente pensare a un solo Stato laico, multietnico, aconfessionale, dove ci sia spazio per tutti, ebrei, cristiani e musulmani? Un sogno? Per chi crede, talvolta anche i sogni possono diventare realtà.

lunedì 11 maggio 2009

Nuovo blog

Mi sono sentito molto onorato nel ricevere la segnalazione di un nuovo blog, intitolato Disputationes Theologicae. Ben volentieri ne faccio parte con i miei "venticinque lettori". Questa la sua autopresentazione:

«Da alcuni anni ormai gli studi ecclesiastici sembrano languire in uno stato che, senza aver del tutto rinunciato al dibattito teologico, ha tuttavia volutamente accantonato l’istituzione della disputa teologica, annegando spesso la ricerca relativa alla “scienza di Dio” in una vulgata che canta all’unisono e che rinuncia sovente alla speculazione rigorosa, all’approfondimento probante, all’argomentazione strutturata, alla confutazione decisa di una tesi falsa.

L’irenismo teologico, che fiumi d’inchiostro ha fatto versare negli ultimi tempi, sembra aver indotto tanti teologi, molti dei quali anche di valore, a pubblicazioni prolisse e non di rado ricche della più ricercata bibliografia, le quali tuttavia si distinguono precipuamente per l’assenza di scelte teologiche chiare e per l’arte sottile di aggirare le questioni scomode e spinose.
Un vago sentimentalismo religioso si sostituisce al nerbo della speculazione scolastica, annacquando la scienza divina in un brodo insipido e deludente perché privo di corpo. In tanti atenei, purtroppo anche romani, nei quali alcuni dei nostri collaboratori studiano e insegnano, si è rinunciato a fare teologia; si assiste ad un’inversione dell’attitudine accademica che ci lascia ogni giorno più attoniti: si mettono in discussione dogmi solennemente definiti, ma è impossibile approfondire e se necessario contestare quelle che sono, nel migliore dei casi, mere opinioni teologiche. Quest’attitudine, tutt'altro che scientifica e soprattutto sommamente incapace di soddisfare l’intelligenza, ha spinto alcuni chierici, studenti di ieri e di oggi, di atenei teologici romani a creare una tribuna nella quale ci si potesse confrontare in un dibattito teologico serio, che abbia come limiti della discussione il magistero della Chiesa con la sua tradizionale prudenza e non la politica ecclesiastica nel senso deteriore del termine.

Gli ideatori di questa impresa, che non ha la pretesa di sostituirsi alle grande riviste teologiche, vorrebbero rilanciare quella “fides quaerens intellectum”, che fu ed è la gloria della teologia cattolica, nello spirito della “disputatio theologica”, di qui il titolo scelto di
“Disputationes Theologicae”; lo stile degli interventi sarà quello di articoli brevi e, se necessario, con una bibliografia essenziale, senza sfoggio di erudizione, di modo che ci si possa accostare con agilità ai grandi quesiti teologici, senza perdere la serietà scientifica, “ut serietate ac vigori argumentationis magis quam copiae eruditionis bibliograficae attendatur”, amava ripetere Timoteo Zapelena dalle cattedre della Gregoriana.

A seguito degli interventi sarà possibile intervenire con precisazioni teologiche oppure con una confutazione scientifica, alla sola condizione che non si tema la forza della verità e che, dismesso ogni spirito di bottega, ci si rammenti che la verità non è di Socrate né di Platone, ma è di tutti
».

Concordo al 100% con l'analisi su riportata e condivido in toto gli intenti dichiarati. A quanto si può leggere dai primi post pubblicati (che mi trovano pienamente d'accordo), mi sembra che ci siano tutte le premesse per il successo di questa iniziativa. Auguro cordialmente buon lavoro ai colleghi e invito i miei lettori a visitare il nuovo blog.

domenica 10 maggio 2009

V domenica di Pasqua ("Cantate Domino")

C'è un verbo che ricorre piú volte nella liturgia odierna: "rimanere". Nella seconda lettura:

«Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato».

Nel vangelo:

«Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, cosí neanche voi se non rimanete in me ... Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto ... Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca ... Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto».

Dobbiamo rimanere in Dio, e Dio deve rimanere in noi; dobbiamo rimanere in Cristo, e Cristo deve rimanere in noi. Per illustrare ciò Gesú ricorre all'immagine della vite e dei tralci: noi siamo i tralci, che devono rimanere uniti alla vite, se vogliono vivere e portare frutto.

Come si rimane uniti alla vite? Stando a quanto Giovanni dice nella sua prima lettera, osservando i comandamenti: l'osservanza dei comandamenti sembrerebbe la condizione per rimanere uniti a Dio. Se invece consideriamo il vangelo, si direbbe che l'osservanza dei comandamenti sia il "frutto" dell'unione del tralcio con la vite. Probabilmente, è vero l'uno e l'altro. Non c'è un prima e un poi; c'è piuttosto una circolarità: rimanendo unito alla vite, posso osservare i comandamenti; e osservando i comandamenti, rimango unito alla vite. C'è certamente bisogno del mio impegno personale; ma piú importante è la presenza dello Spirito Santo, che è un dono totalmente gratuito ("lo Spirito che ci ha dato"), la "linfa" che dalla vite passa nei tralci, permettendo loro di vivere e di produrre frutto.

«Senza di me non potete far nulla».

sabato 9 maggio 2009

E se provassimo a "deideologizzare" un po' la Chiesa?

Si fa un gran parlare di avvicendamenti nella Curia romana e nell'Episcopato. Nil sub sole novi: da che mondo è mondo, i pettegolezzi su eventuali nomine sono uno degli sport preferiti del genere umano. Non c'è assolutamente da meravigliarsi. È dell'altro giorno la smentita delle anticipazioni riguardanti un'eventuale promozione di Mons. Malcom Ranjith alla sede arcivescovile di Colombo (si veda il blog di Andrea Tornielli). Anche se non posso negare un naturale interesse per tutte queste voci che si rincorrono, per principio mi sono ripromesso di non dar credito a certe notizie finché esse non sono state ufficialmente pubblicate.

Ma in questa sede non è questa o quella (possibile) nomina che mi interessa. Vorrei fare qualche considerazione sulla "politica" che ispira certi avvicendamenti. Io non so quale sia la politica attualmente seguita dalla Santa Sede nella scelta dei responsabili dei dicasteri della Curia romana e delle sedi episcopali. Non so neppure se esista una tale politica o se piuttosto certe nomine non debbano essere considerate semplicemente frutto di "giochi di potere".

Certamente molti rimarranno rabbrividiti al solo sentir parlare di "giochi di potere" nella Chiesa. Vi dirò sinceramente: anche in questo caso la cosa non mi meraviglia piú di tanto. Sono convinto che una simile realtà, per quanto riprovevole, c'è sempre stata e — ahimè — sempre ci sarà nella Chiesa, come in qualsiasi altra istituzione umana.

Quel che invece mi preoccupa maggiormente è che ci possa essere una "politica" dettata dall'ideologia. Che cosa voglio dire? È un fatto che viviamo in una società fortemente ideologizzata. Non saprei dire quando la tendenza a considerare la realtà attraverso le lenti dell'ideologia abbia avuto inizio. Certamente si tratta di una tendenza abbastanza naturale, ma penso che essa abbia avuto una spinta notevole a partire dall'illuminismo (la prima grande ideologia moderna) per arrivare al XX secolo, che è stato il "secolo delle ideologie". A un certo punto, col crollo del comunismo (1989), ci eravamo illusi che le ideologie fossero finite, ma non era affatto vero: continuiamo a essere vittima di altre ideologie.

Probabilmente anche il Concilio Vaticano II va letto all'interno di questa generale ideologizzazione, che ha finito per insinuarsi anche nella Chiesa. Non solo nelle discussioni, ma negli stessi documenti conciliari si sente l'influsso delle ideologie allora in voga. Ma anche questo non deve scandalizzarci: la Chiesa vive nel tempo; ed è ingenuo pensare che essa possa rimanerne incontaminata. Ciò che importa è che la Chiesa, in questo suo cammino attraverso la storia, non è mai sola, ma è assistita dallo Spirito Santo, che le permette di discernere e ritenere ciò che è buono, lasciando cadere ciò che è male. Dunque, nessun dubbio che ciò che il Concilio ha deciso è ciò che Dio vuole dalla sua Chiesa in questo nostro tempo.

Eppure certe tendenze ideologiche sono rimaste presenti nella Chiesa. Che altro è, se non ideologia, il cosiddetto "spirito del Concilio", che non solo ha operato durante il Concilio, ma che ha continuato ad agire dopo di esso, pretendendo di essere l'unica sua chiave di lettura? Per anni il "progressismo" è stato visto come l'unico modo legittimo di vivere il cristianesimo. E tale progressismo ha ispirato non solo l'interpretazione del Concilio, ma anche la nomina dei Vescovi, dei responsabili della Curia romana, dei professori di teologia, ecc. Scelte "ideologiche", appunto.

Ma, da qualche anno a questa parte, è presente nella Chiesa una tendenza opposta. Dopo decenni di vita nelle catacombe, con il pontificato di Giovanni Paolo II prima e, soprattutto ora, col pontificato di Benedetto XVI, hanno ripreso forza i gruppi tradizionalisti, che hanno incominciato a far sentire la loro voce e a pretendere alcuni cambiamenti nella Chiesa. Ciò non deve meravigliare, perché, col passare degli anni le forze progressiste si sono a poco a poco esaurite: i giovani rivoluzionari degli anni Sessanta-Settanta nel frattempo sono invecchiati, senza avere ricambi; al contrario dei tradizionalisti che invece in questi anni hanno incrementato le loro fila con l'adesione di non pochi giovani.

È così che tali gruppi tradizionalisti spingono per un ricambio nei posti chiave della Chiesa (diocesi e Curia romana), un ricambio che preveda la sostituzione di uomini di tendenza progressista con persone che siano fedeli a una visione
piú tradizionale. Già in altra occasione facevo notare che tale operazione non è per nulla facile: lo abbiamo visto recentemente in Austria col tentativo di nominare Mons. Wagner Vescovo ausiliare di Linz. Non è facile scalfire un sistema di potere cosí consolidato: è come fare un trapianto; segue l'immediato "rigetto" dell'organo che si vuole innestare. Lo stiamo vedendo anche nella Curia Romana, dove, nonostante che da quattro anni ci sia Benedetto XVI, le nomine in importanti dicasteri continuano a lasciare molto a desiderare.

Ma qui vorrei aggiungere qualche altra considerazione. Prima di tutto, non dobbiamo farci illusioni. Il tradizionalismo, di per sé, non è garanzia di qualità. Lo abbiamo visto in non poche nomine fatte durante il pontificato di Giovanni Paolo II, specialmente in alcuni paesi europei (Olanda, Svizzera, Austria). Quelle nomine non solo non sono riuscite a recuperare la situazione della Chiesa in quei paesi o anche solo a creare un nuovo clima all'interno dei rispettivi episcopati, ma in non pochi casi sono rimaste travolte da scandali di vario genere.

C'è poi da chiedersi: è questa auspicata "normalizzazione", alla fin fine, tanto diversa dalla "rivoluzione" avvenuta in seguito al Vaticano II? Non è anch'essa, dopo tutto, una tendenza ideologica? In entrambi i casi si giudicano le persone per le loro idee, se sono tradizionaliste o progressiste; e questo dovrebbe essere un criterio sufficiente per la loro nomina. Vi sembra giusto? Delle capacità, delle competenze, del valore di una persona importa poco; ciò che importa è se quella persona è un tradizionalista o un progressista. Ed è, a mio parere, proprio questo, che rovina la Chiesa; perché ci ritroviamo spesso persone non capaci in posti-chiave.

Che ciascuno di noi sia tendenzialmente portato verso la conservazione o il cambiamento, è cosa naturale. Ma non dovrebbe essere questo ciò che ci qualifica e che determina la nostra scelta per un determinato incarico. Quando c'è da provvedere a qualche ufficio l'unica preoccupazione dovrebbe essere la capacità e la competenza dei candidati. È ovvio che questo sistema ha senso solo all'interno di una condivisione dei valori di fondo. Voglio dire: a prescindere che io sia tradizionalista o progressista, non metterò in discussione la divinità di Cristo; al massimo potrò discutere se il rito della pace va fatto prima della comunione o all'offertorio.

Probabilmente, se incominciassimo a guardare di piú al valore delle persone e non alle loro idee, a quello che fanno piú che a quello che dicono, il livello dei "quadri" della Chiesa ne guadagnerebbe non poco.

venerdì 8 maggio 2009

Non resta che pregare

È iniziato il pellegrinaggio del Santo Padre in Terra Santa. Non resta che pregare.

giovedì 7 maggio 2009

Ancora sull'espiazione

Mentre prendo atto con piacere della chiarificazione di Mons. Zollitsch (vedi qui), vorrei pubblicare una lettera inviatami da un lettore, Stefano, rimasto colpito dalla citazione di San Pietro Crisologo riportata ieri:

«Mi perdoni se mi intrometto, da ignorante, sul dibattito riguardo al significato di espiazione e sacrificio.
Riprendo la bellissima citazione di S. Pietro Crisologo da lei postata sul blog:
«Deus fidem, non mortem quaerit; votum, non sanguinem sitit; placatur voluntate, non nece»
Io la interpreto così: non hanno valore (espiatorio) per Dio la sofferenza e la morte in sé e per sé, ma hanno valore la sofferenza e la morte accettate liberamente, volontariamente, per amore Suo e degli uomini. Cristo non avrebbe espiato i peccati degli uomini se fosse morto controvoglia, per costrizione (cosa impossibile data la sua divinità, ma supponiamolo per assurdo): li ha espiati perché si è offerto liberamente alla morte per amore verso il Padre e verso di noi. L'ira divina (cioè la giustizia divina, come da lei sapientemente rilevato) si è placata di fronte al sacrificio di Cristo non perché è stato versato del sangue e basta (come volevano gli dèi pagani), ma perché è stato versato del sangue per amore.
Mi sembra che su questo punto ci siano due errori da evitare: 1) hanno valore espiatorio la sofferenza e la morte in quanto tali (paganesimo); 2) la sofferenza e la morte non hanno alcun valore espiatorio, non c'entrano nulla con la redenzione: conta solo l'amore (modernismo attuale). Mi sembra che la posizione corretta, cattolica, sia questa: la sofferenza e la morte accettate per amore, cioè vivificate dalla carità, hanno un grandissimo valore espiatorio e acquistano grandissimi meriti davanti a Dio (nel caso dell'uomo Gesù Cristo, che era ed è anche vero Dio, meriti infiniti).
In conclusione, vorrei ricordare le stupende parole dello Spirito Santo e nel contempo di Isaia: "Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti" (Is 53, 5). Per le sue piaghe, sopportate per amore, siamo stati guariti.
Mi corregga se sbaglio».

Non c'è assolutamente nulla da correggere. Mi sembra che Stefano abbia perfettamente colto la profondità del mistero della redenzione.

Semmai aggiungerei una citazione dalla lettera agli Ebrei, che conferma la spiegazione di Stefano:

«Entrando nel mondo, Cristo dice: "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo — poiché di me sta scritto nel rotolo del libro — per fare, o Dio, la tua volontà".
Dopo aver detto prima: "Non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato", cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: "Ecco, io vengo a fare la tua volontà". Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo.
Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» (Eb 10:5-10)

Gesú ci ha salvati con la sua morte, perché con essa ha compiuto la volontà del Padre. E tale volontà è una volontà salvifica ("Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati"), che si è realizzata nell'«offerta del corpo di Gesú Cristo» (= il suo sacrificio).

mercoledì 6 maggio 2009

A proposito di espiazione

Per arricchire la riflessione, una citazione dalla Liturgia delle ore di ieri:

«Deus fidem, non mortem quaerit; votum, non sanguinem sitit; placatur voluntate, non nece»

«Dio cerca la fede, non la morte; ha sete della preghiera, non del sangue; è placato dalla volontà, non dall'uccisione»

S. PIETRO CRISOLOGO, Discorso 108: PL 52, 500.

martedì 5 maggio 2009

Ecumenismo dottrinale, etico o... estetico?

Dopo aver letto il mio post di sabato scorso su "Cirillo e Benedetto", un confratello mi ha procurato l'articolo "Roma-Mosca: prove tecniche d'intesa georeligiosa", del Prof. Roberto Morozzo della Rocca, docente all'Università di Roma Tre, pubblicato sull'ultimo numero della rivista Limes (3/2009), intitolato "Eurussia, il nostro futuro?". Purtroppo non posso darvi il link, perché non è pubblicato sul sito della "rivista italiana di geopolitica".

Si tratta di un interessantissimo articolo, che analizza i rapporti tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa russa dopo l'elezione del Patriarca Cirillo da una prospettiva diversa rispetto a quella del Dott. Robert Moynihan, una prospettiva che potremmo appunto definire "geopolitica". L'articolo approfondisce quello che io avevo chiamato nel mio post l'elemento etnico che aveva reso difficili le relazioni fra le due Chiese durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Aggiunge un altro aspetto che avevo trascurato: l'esistenza della Chiesa "uniate" ucraina. Sono tutti elementi che giocano un ruolo non indifferente nella partita fra Santa Sede e Patriarcato di Mosca.

Molto interessante vedere come anche le tensioni scaturite dalla costituzione di alcune diocesi cattoliche sul "territorio canonico" della Chiesa ortodossa russa abbiano un risvolto positivo: il fatto che il Patriarcato di Mosca si lamenti di ciò solo con la Chiesa cattolica è indice di un rapporto privilegiato con noi; è il riconoscimento che Chiesa romana e Chiesa russa sono Chiesa apostoliche sorelle, ciascuna competente sul proprio territorio (secondo la concezione canonica orientale).

Nella seconda parte del suo studio, il Prof. Morozzo della Rocca si sofferma sulla politica ecumenica del nuovo Patriarca. A quanto pare, Cirillo sarebbe abbastanza disilluso: "L'ecumenismo come è stato praticato tra cristiani europei sarebbe secondo Kirill ormai logoro, spento, specie sul piano dottrinale". Forse non ha tutti i torti: l'ingenuo ottimismo di qualche anno fa deve fare i conti con divergenze dottrinali che appaiono insormontabili. Ormai sappiamo che cosa ci unisce e che cosa ci divide; abbiamo stilato dichiarazioni comuni, in cui sono stati evidenziati i punti su cui ci troviamo d'accordo; ma, arrivati ai punti che ci dividono, che cosa fare?

Quale sarebbe allora la proposta di Cirillo per l'ecumenismo oggi? Esso "potrebbe riprendere slancio qualora le maggiori Chiese europee si alleassero per resistere al relativismo etico che stravolge la concezione cristiana dell'uomo e secolarizza la società". "Kirill, come patriarca, piú ancora che in passato cercherà di trovare un accordo con la Chiesa cattolica romana in nome di una convergenza antropologica ed etica. Le sue idee coincidono singolarmente con quelle di Benedetto XVI e con il discorso cattolico sui valori «non negoziabili» connessi all'antropologia cristiana".

Tale prospettiva è certamente interessante, non va in alcun modo trascurata (se si può fare qualcosa per la povera vecchia Europa, va fatto); ma, se devo essere sincero, non mi entusiasma piú di tanto. Prima di tutto perché mi sembra un modo per un altro per accantonare il problema ecumenico propriamente detto, che, secondo me, non può essere accantonato. In fondo, agli ortodossi può anche andar bene cosí: lasciamo che tutto resti come è sempre stato: ciascuno a casa sua; voi non date noia a noi, noi non diamo noia a voi; cerchiamo di avere rapporti di buon vicinato e cerchiamo di collaborare per il recupero dei valori morali in Europa. Ma questo non è accettabile per un cattolico, che è, per sua natura, "ecumenico". Il ristabilimento della piena comunione fra le Chiese non può essere disatteso, proprio se vogliamo il bene dell'Europa. Che ci siano delle difficoltà, è vero; ma non mi sembra giusto arrendersi di fronte ad esse. Sono d'accordo che non si può essere ingenui (solo uno "spirito conciliare" da quattro soldi poteva alimentare certe illusioni...); è doveroso essere realisti; ma non possiamo porre limiti alla Provvidenza. Specialmente con gli ortodossi, mi sembra che gli ostacoli non siano insormontabili. Si tratta di conciliare il principio del primato con quello della collegialità, e di trovare nuove formule canoniche che permettano la compresenza di diverse tradizioni nell'unica Chiesa.

In secondo luogo, mentre condivido che è possibile, e forse doveroso, cercare convergenze sui comuni valori umani nel dialogo con i "laici" e i non-cristiani (dal momento che non ci sono altri terreni comuni su cui incontrarsi), fra cristiani mi sembra un po' poco accontentarsi di questo, come se non avessimo altro su cui trovarci d'accordo. E Gesú Cristo? Capirei di piú una "crociata" comune di rievangelizzazione del vecchio continente, piuttosto che una campagna per il recupero dei valori morali. Oltre tutto, mi sembra un tantino rischioso, per i cristiani, insistere piú del dovuto sull'etica, come se questa fosse concebile a prescindere dai suoi fondamenti teologici. Esiste un problema di fondo: può l'uomo salvarsi da solo, con i suoi sforzi? Può l'uomo vivere secondo la legge morale senza il soccorso della grazia? È ovvio che questi discorsi non possiamo farli con i non-cristiani e i non-credenti, ma fra noi non possiamo eluderli.

Nel frattempo, viste le difficoltà dell'ecumenismo dottrinale e vista la pericolosità dell'ecumenismo etico, preferisco rifugiarmi in un altro tipo di ecumenismo, che chiamerei "estetico". Sono convinto che l'arte svolgerà (o meglio, sta già svolgendo) un ruolo non secondario nel ristabilimento della piena comunione fra le Chiese. Con le Chiese orientali sono soprattutto le arti figurative (le icone) che stanno a poco a poco avvicinandoci. Con le comunità scaturite dalla riforma, invece, credo che un ruolo importante possa essere giocato dalla musica: i meravigliosi inni liturgici della tradizione protestante (già in uso anche presso i cattolici) possono essere un ponte che unirà le nostre comunità piú di tanti sterili colloqui teologici.

lunedì 4 maggio 2009

Confessio Querculana

Il mio post di mercoledí scorso sul caso Zollitsch non è piaciuto a tutti (si veda questo post nel blog La verità sul Cammino Neocatecumenale con i relativi commenti). Niente di strano; non ho mai avuto la pretesa di incontrare il favore generale. La cosa che però mi fa riflettere è che non è facile farsi capire. Come dicevo in altra occasione, quando uno non è capito, la colpa non è di chi non lo capisce, ma di chi non è in grado di farsi capire; per cui dovrò fare un attento esame di coscienza. L'unico intento del mio post era quello di non voler prendere posizione nella polemica creatasi in seguito all'intervista rilasciata dal Presidente della Conferenza episcopale tedesca: questo lo spiegavo nei primi punti del mio post (tralasciati nella su menzionata recensione). Il mio errore è stato quello di aggiungere alcune annotazioni sul merito della questione, che non volevano in alcun modo risolvere il problema (anche perché un blog non è il luogo piú adatto per fare dei trattati teologici), ma solo mostrare che si trattava di una questione teologica complessa. Ma questo non è stato capito. Pazienza.

Siccome però il mio linguaggio è stato definito "neoterico", a scanso di equivoci, per dimostrare che anche a me piacciono le formule dogmatiche precise (e che in nessun modo impediscono ai teologi di riflettere e discutere liberamente), vorrei riportare la "mia" professione di fede, una esplicitazione della professione di fede richiesta dalla Chiesa ai fedeli in alcune circostanze. È in latino, per conservare tutta la precisione delle formule dogmatiche, ma aggiungo una traduzione italiana per chi non legge il latino (le note — importanti per conoscere le fonti — sono solo nel testo originale); l'ho chiamata "Confessio Querculana" perché è stata composta al Collegio alla Querce di Firenze alla fine degli anni Novanta.


PROFESSIO FIDEI CATHOLICÆ


Introductio

AD LAUDEM SANCTISSIMÆ TRINITATIS

Ego, N. N., firma fide credo et profiteor omnia et singula quæ in Symbolo fidei continentur, videlicet:


I. Symbolum Nicænum-Constantinopolitanum

Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem, factorem cæli et terræ, visibilium omnium et invisibilium.

Et in unum Dominum Jesum Christum, Filium Dei unigenitum, et ex Patre natum ante omnia sæcula; Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero; genitum, non factum; consubstantialem Patri; per quem omnia facta sunt. Qui propter nos homines et propter nostram salutem descendit de cælis; et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est. Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato, passus et sepultus est. Et resurrexit tertia die, secundum Scripturas. Et ascendit in cælum, sedet ad dexteram Patris. Et iterum venturus est cum gloria, judicare vivos et mortuos; cujus regni non erit finis.

Et in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem, qui ex Patre Filioque procedit; qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur; qui locutus est per prophetas.

Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam. Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum. Et exspecto resurrectionem mortuorum. Et vitam venturi sæculi. Amen.


II. Formula nuper addita (1)

Firma fide quoque credo ea omnia quæ in verbo Dei scripto vel tradito continentur et ab Ecclesia sive sollemni judicio sive ordinario et universali magisterio tamquam divinitus revelata credenda proponuntur.

Firmiter etiam amplector ac retineo omnia et singula quæ circa doctrinam de fide vel moribus ab eadem definitive proponuntur.

Insuper religioso voluntatis et intellectus obsequio doctrinis adhæreo quas sive Romanus Pontifex sive Collegium Episcoporum enuntiant cum magisterium authenticum exercent etsi non definitivo actu easdem proclamare intendant.


III. Confessio Querculana (2)

Præsertim CREDO per unum hominem peccatum in hunc mundum intrasse et per peccatum mortem, et ita in omnes homines mortem pertransisse, in quo omnes peccaverunt (3). CREDO omnes egere gloria Dei, justificatos gratis per gratiam ipsius, per redemptionem quæ est in Christo Jesu (4). CREDO non justificari hominem ex operibus legis, nisi per fidem Jesu Christi (5).

CREDO Dominum nostrum Jesum Christum, unum mediatorem Dei et hominum (6), in quo habitat omnis plenitudo divinitatis corporaliter (7), esse viam et veritatem et vitam; et neminem ire ad Patrem, nisi per ipsum (8). CREDO non esse in alio aliquo salutem; nec enim aliud nomen esse sub cælo datum hominibus in quo oporteat nos salvos fieri (9). CREDO Jesum Christum heri et hodie eundem, et in sæcula (10); Alpha et Omega, primum et novissimum, principium et finem (11); heredem universorum (12), regem regum et dominum dominorum (13), in quo proposuit Deus recapitulare omnia (14).

CREDO Dominum Jesum Christum Ecclesiam, visibilem societatem hierarchicis organis instructam corpusque suum mysticum (15), ut universale salutis sacramentum constituisse (16). CREDO hanc Ecclesiam, extra quam nullus omnino salvatur (17), subsistere in Ecclesia catholica, a Successore Petri et Episcopis in ejus communione gubernata (18). CREDO sanctam catholicam et apostolicam Romanam Ecclesiam omnium esse Ecclesiarum matrem et magistram (19).

CREDO Christum Dominum fidei depositum Ecclesiæ concredidisse, ut ipsa veritatem revelatam sancte custodiret, intimius perscrutaretur, fideliter annuntiaret atque exponeret (20). CREDO Christum Jesum Ecclesiam totius de moribus legis certam custodem interpretemque instituisse, hoc est non solius legis evangelicæ, sed etiam naturalis (21). CREDO munus authentice interpretandi verbum Dei scriptum vel traditum soli vivo Ecclesiæ Magisterio concreditum esse, cujus auctoritas in nomine Jesu Christi exercetur (22).

CREDO beatum Petrum, Apostolorum principem, esse omnium christianorum patrem, et primum post Christum pastorem (23). CREDO subesse Romano Pontifici omni humanæ creaturæ omnino esse de necessitate salutis (24). CREDO Romanum Pontificem, cum ex cathedra loquitur, ea infallibilitate pollere, qua divinus Redemptor Ecclesiam suam in definienda doctrina de fide et moribus instructam esse voluit (25).

CREDO septem esse vere et proprie sacramenta novæ legis a Jesu Christo Domino nostro instituta atque ad salutem humani generis, licet non omnia singulis, necessaria: scilicet Baptismum, Confirmationem, Eucharistiam, Pænitentiam, Unctionem infirmorum, Ordinem et Matrimonium; illaque gratiam ex opere operato conferre (26). CREDO sacramentum Baptismi, per quem homines paschali Christi mysterio inseruntur (27), in re vel saltem in voto necessarium esse ad salutem (28). CREDO aliud ab ipso Baptismo sacramentum ad peccatorum remissionem esse institutum, sacramentum videlicet Pænitentiæ, quo fideles post Baptismum lapsi Deo reconciliantur (29). CREDO institutam etiam esse a Domino integram peccatorum confessionem, et omnibus post Baptismum lapsis jure divino necessariam existere (30). CREDO Missam, memoriale mortis et resurrectionis Domini (31), verum et proprium esse sacrificium (32), simul laudis, gratiarum actionis, propitiatorium et satisfactorium (33), quod pro vivis et defunctis ab Ecclesia Deo offertur (34). CREDO in sanctissimo Eucharistiæ sacramento esse vere, realiter et substantialiter corpus et sanguinem una cum anima et divinitate Domini nostri Jesu Christi; fierique conversionem totius substantiæ panis in corpus et totius substantiæ vini in sanguinem, quam conversionem catholica Ecclesia aptissime transsubstantiationem appellat (35). CREDO in novo testamento sacerdotium esse visibile et externum, ministeriale seu hierarchicum quod vocant, licet a communi omnium fidelium sacerdotio essentia et non gradu tantum differens (36), in eiusdem tamen servitium constitutum (37); solis viris quidem conferendum (38); potestate autem præditum consecrandi et offerendi verum corpus et sanguinem Domini, necnon et peccata remittendi et retinendi (39).

CREDO beatam Mariam, utpote incarnati Verbi, veri Dei et veri hominis (40), matrem, jure ac merito Deiparam appellari posse (41). CREDO sanctam Dei Genetricem perstitisse semper in virginitatis integritate, ante partum scilicet, in partu et perpetuo post partum (42). CREDO beatissimam virginem Mariam, Jesu Christo inde ab omni æternitate uno eodemque decreto prædestinationis arcano modo conjunctam (43), in primo instanti suæ conceptionis fuisse singulari omnipotentis Dei gratia et privilegio, intuitu meritorum Christi Jesu salvatoris humani generis, ab omni originalis culpæ labe præservatam immunem (44). CREDO immaculatam Deiparam semper virginem Mariam, expleto terrestris vitæ cursu, fuisse corpore et anima ad cælestem gloriam assumptam (45). CREDO beatam virginem Mariam, his in terris nostræ salutis operi singulari prorsus modo arctoque et indissolubili vinculo, veluti novam Hevam generosamque divini Redemptoris sociam, conjunctam, Ecclesiæ matrem exstitisse (46); in cælis vero, tamquam universorum reginam a Domino exaltatam, maternum salutiferumque hoc munus non deposuisse, sed multiplici intercessione sua pergere se mediatricem gratiæ nobis præbere (47).

CREDO nos gratia esse salvatos per fidem; creatos in Christo Jesu in opera bona, quæ præparavit Deus, ut in illis ambulemus (48). CREDO in Christo Jesu neque circumcisionem aliquid valere neque præputium, sed fidem quæ per caritatem operatur (49). CREDO Deum inquirentibus se remuneratorem fieri (50), qui reddet unicuique secundum opera ejus (51).


Conclusio

Hanc veram catholicam fidem, sine qua impossibile est placere Deo (52), quam in præsenti sponte profiteor ac veraciter teneo, eandem integram et immaculatam usque ad extremum vitæ spiritum et, si opus fuerit, usque ad effusionem sanguinis constantissime, Deo adiuvante, beata Maria virgine omnibusque Angelis et Sanctis intercedentibus, retinere et confiteri volo.
AMEN.


(1) CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI, Professio fidei et Jusjurandum fidelitatis in suscipiendo officio nomine Ecclesiæ exercendo (9 jan. 1989): EV 11, 1192; cf JOANNIS PAULI II Litteras apostolicas motu proprio datas Ad tuendam fidem quibus normæ quædam inseruntur in Codice juris canonici et in Codice canonum Ecclesiarum orientalium (18 maji 1998): EV 17, 801-807; CONGREGATIONIS PRO DOCTRINA FIDEI Notam doctrinalem Inde ab ipsis primordiis (29 jun. 1998): EV 17, 1137-1155.

(2) Ita nuncupata e quondam Florentino Clericorum Regularium Sancti Pauli Collegio Sanctæ Mariæ ad Quercum, in quo primum exarata est sub fine sæculi XX.

(3) Rom 5, 12 Vulg.; cf CONCILII TRIDENTINI Sessionem V (17 jun. 1546), Decretum de peccato originali, nn. 2 & 4: DS 1512 & 1514.

(4) Rom 3, 23-24.

(5) Gal 2, 16.

(6) 1 Tim 2, 5.

(7) Col 2, 9.

(8) Jo 14, 6.

(9) Act 4, 12; cf CONGREGATIONIS PRO DOCTRINA FIDEI Declarationem Dominus Jesus de Jesu Christi atque Ecclesiæ unicitate et universalitate salvifica (6 aug. 2000): EV 19, 1142-1199.

(10) Heb 13, 8.

(11) Apc 22, 13; cf 1, 8; 21, 6.

(12) Heb 1, 2.

(13) Apc 19, 16.

(14) Eph 1, 10.

(15) CONCILII VATICANI II Constitutio dogmatica Lumen gentium de Ecclesia (21 nov. 1964), n. 8: EV 1, 304.

(16) CONCILII VATICANI II Constitutio dogmatica Lumen gentium de Ecclesia (21 nov. 1964), n. 48: EV 1, 416; EJUSDEM Decretum Ad gentes de activitate missionali Ecclesiæ (7 dec. 1965), n. 1: EV 1, 1087.

(17) CONCILII LATERANENSIS IV c. 1 de fide catholica: DS 802; cf CYPRIANI CARTHAGINIENSIS Epistolam 73 ad Jubajanum, c. 21.

(18) CONCILII VATICANI II Constitutio dogmatica Lumen gentium de Ecclesia (21 nov. 1964), n. 8: EV 1, 305; cf EJUSDEM Declarationem Dignitatis humanæ de libertate religiosa (7 dec. 1965), n. 1: EV 1, 1043; CONGREGATIONIS PRO DOCTRINA FIDEI Responsa ad quæstiones de aliquibus sententiis ad doctrinam de Ecclesia pertinentibus (29 jun. 2007).

(19) Professio fidei Tridentina: DS 1868; cf GREGORII VII Epistolam 64 extra Registrum.

(20) C.J.C., can. 747, § 1.

(21) PAULI VI Litteræ encyclicæ Humanæ vitæ (25 jul. 1968), n. 4: EV 3, 590.

(22) CONCILII VATICANI II Constitutio dogmatica Dei verbum de divina revelatione (18 nov. 1965), n. 10: EV 1, 887.

(23) GREGORII VII Epistola 64 extra Registrum.

(24) BONIFATII VIII Bulla Unam sanctam (18 nov. 1302): DS 875.

(25) CONCILII VATICANI I Constitutio dogmatica Pastor æternus de Ecclesia Christi (18 jul. 1870): DS 3074.

(26) Professio fidei Tridentina: DS 1864; cf CONCILII TRIDENTINI Sessionem VII (3 mar. 1547), canones de sacramentis in genere: DS 1601-1613.

(27) CONCILII VATICANI II Constitutio Sacrosanctum Concilium de sacra liturgia (4 dec. 1963), n. 6: EV 1, 8.

(28) C.J.C., can. 849; cf CONCILII TRIDENTINI Sessionem VII (3 mar. 1547), can. 5 de sacramento Baptismi: DS 1618.

(29) CONCILII TRIDENTINI Sessio XIV (25 nov. 1551), Doctrina de sacramento Pænitentiæ, c. 1: DS 1668; can. 1 de sacramento Pænitentiæ: DS 1701; EJUSDEM Sessio VI (13 jan. 1547), Decretum de justificatione, c. 14: DS 1542.

(30) CONCILII TRIDENTINI Sessio XIV (25 nov. 1551), Doctrina de sacramento Pænitentiæ, c. 5: DS 1679; can. 6 de sacramento Pænitentiæ: DS 1706.

(31) CONCILII VATICANI II Constitutio Sacrosanctum Concilium de sacra liturgia (4 dec. 1963), n. 47: EV 1, 83.

(32) CONCILII TRIDENTINI Sessio XXII (17 sept. 1562), can. 1 de sanctissimo Missæ sacrificio: DS 1751.

(33) MISSALIS ROMANI Institutio generalis, ed. typ. III (2002), Proœmium, n. 2.

(34) CONCILII TRIDENTINI Sessio XXII (17 sept. 1562), Doctrina de sanctissimo Missæ sacrificio, c. 2: DS 1743; can. 3: DS 1753.

(35) Professio fidei Tridentina: DS 1866; cf CONCILII TRIDENTINI Sessionem XIII (11 oct.1551), Decretum de ss. Eucharistia, cc. 1 & 4: DS 1636 & 1642; cann. 1-2: DS 1651-1652.

(36) CONCILII VATICANI II Constitutio dogmatica Lumen gentium de Ecclesia (21 nov. 1964), n. 10: EV 1, 312.

(37) Catechismus catholicæ Ecclesiæ, nn. 1120; 1547; 1551; 1591; 1592.

(38) JOANNIS PAULI II Epistola apostolica Ordinatio sacerdotalis (22 maji 1994): EV 14, 1340-1348

(39) CONCILII TRIDENTINI Sessio XXIII (15 jul. 1563), Doctrina de sacramento Ordinis, c. 1: DS 1764; can. 1: DS 1771.

(40) CONCILII CHALCEDONENSIS Actio V (22 oct. 451), Symbolum: DS 301.

(41) CYRILLI ALEXANDRINI Epistola II ad Nestorium (22 jun. 431): DS 251.

(42) PII IV Constitutio Cum quorumdam hominum (7 aug. 1555): DS 1880.

(43) PII XII Constitutio apostolica Munificentissimus Deus (1 nov. 1950): DS 3902; cf PII IX Bullam Ineffabilis Deus (8 dec. 1854): PII IX Acta, p. I, vol. I, 599 (DS 2800).

(44) PII IX Bulla Ineffabilis Deus (8 dec. 1854): DS 2803.

(45) PII XII Constitutio apostolica Munificentissimus Deus (1 nov. 1950): DS 3903.

(46) PAULI VI Allocutio in conclusione Sessionis III Concilii Vaticani II (21 nov. 1964): EV 1, 306*.

(47) CONCILII VATICANI II Constitutio dogmatica Lumen gentium de Ecclesia (21 nov. 1964), nn. 55-62: EV 1, 429-438; PAULI VI Adhortatio apostolica Signum magnum (13 maji 1967): EV 2, 1178-1180.

(48) Eph 2, 8.10.

(49) Gal 5, 6.

(50) Heb 11, 6.

(51) Rom 2, 6.

(52) Heb 11, 6.



PROFESSIONE DI FEDE CATTOLICA


Introduzione

A LODE DELLA SANTISSIMA TRINITÀ

Io, N. N., credo e professo con ferma fede tutte e singole le verità che sono contenute nel simbolo della fede, e cioè:


I. Simbolo Niceno-Costantinopolitano

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

Credo in un solo Signore, Gesú Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della vergine Maria, e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morí e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture; è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, a giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.

Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti.

Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.


II. Formula recentemente aggiunta

Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato.

Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo.

Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio episcopale propongonlo quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo.


III. "Confessio Querculana"

In particolare, credo che a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e cosí in tutti gli uomini si è propagata la morte, per cui tutti hanno peccato. Credo che tutti sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesú. Credo che l'uomo non è giustificato per le opere della legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesú Cristo.

Credo che il Signore nostro Gesú Cristo, unico mediatore fra Dio e gli uomini, nel quale abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, è la via, la verità e la vita; e nessuno va al Padre se non per mezzo di lui. Credo che in nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati. Credo che Gesú Cristo è lo stesso ieri e oggi e sempre; egli è l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il Principio e la Fine; l'erede di tutte le cose, il Re dei re e il Signore dei signori, al quale Dio si è proposto di ricondurre tutte le cose.

Credo che il Signore nostro Gesù Cristo ha costituito la Chiesa, società formata da organi gerarchici e suo corpo mistico, come sacramento universale di salvezza. Credo che questa Chiesa, fuori della quale nessuno assolutamente si salva, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui. Credo che la santa Chiesa apostolica romana è madre e maestra di tutte le Chiese.

Credo che Cristo Signore ha affidato alla Chiesa il deposito della fede, affinché essa custodisca santamente, scruti piú intimamente, annunzi ed esponga fedelmente la verità rivelata. Credo che Cristo Gesú ha istitutito la Chiesa custode e interprete sicura di tutta la legge morale, cioè non della sola legge evangelica, ma anche di quella naturale. Credo che il compito di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità viene esercitata a nome di Gesú Cristo.

Credo che il beato Pietro, principe degli Apostoli, è padre di tutti i cristiani e primo pastore dopo Cristo. Credo che la sottomissione al Romano Pontefice è assolutamente necessaria alla salvezza per ogni creatura umana. Credo che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, gode di quella infallibilità, di cui il divino Redentore ha voluto che fosse fornita la sua Chiesa nel definire la dottrina che riguarda fede e i costumi.

Credo che sono sette in senso vero e proprio i sacramenti della legge nuova, istituiti da Gesú Cristo nostro Signore e necessari per la salvezza del genere umano, sebbene non tutti per ciascuno: Battesimo, Confermazione, Eucaristia, Penitenza, Unzione degli infermi, Ordine e Matrimonio; ed essi conferiscono la grazia ex opere operato. Credo che il sacramento del Battesimo, per mezzo del quale gli uomini vengono inseriti nel mistero pasquale di Cristo, è necessario di fatto o almeno in desiderio per la salvezza. Credo che è stato istitutito un altro sacramento, oltre il Battesimo, per la remissione dei peccati, e cioè il sacramento della Penitenza, per mezzo del quale i fedeli caduti dopo il Battesimo sono riconciliati con Dio. Credo che è stata istituita dal Signore anche l'integrale confessione dei peccati, e che essa è necessaria per diritto divino a tutti coloro che sono caduti dopo il Battesimo. Credo che la Messa, memoriale della morte e della risurrezione del Signore, è un vero e proprio sacrificio, insieme di lode, di ringraziamento, di propiziazione e di espiazione, che viene offerto dalla Chiesa per i vivi e per i defunti. Credo che nel santissimo sacramento dell'Eucaristia è presente veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue insieme con l'anima e la divinità del Signore nostro Gesú Cristo; e in esso si realizza la conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue; conversione che la Chiesa cattolica molto convenientemente chiama "transustanziazione". Credo che nella nuova alleanza esiste un sacerdozio visibile ed esterno, chiamato "ministeriale" o "gerarchico"; il quale, quantunque differrisca dal sacerdozio comune dei fedeli essenzialmente e non solo di grado, è tuttavia costituito a servizio di questo; va conferito soltanto agli uomini; ed è fornito del potere di consacrare e offrire il vero corpo e sangue del Signore, come pure di rimettere e ritenere i peccati.

Credo che la beata Maria, in quanto madre del Verbo incarnato, vero Dio e vero uomo, possa essere chiamata a buon diritto "Madre di Dio". Credo che la santa Madre di Dio è rimasta sempre nell'integrità della verginità, e cioè prima del parto, nel parto e per sempre dopo il parto. Credo che la beatissima vergine Maria, fin da tutta l'eternità congiunta con Gesú Cristo in modo arcano con un unico e medesimo decreto di predestinazione, nel primo istante della sua concezione fu preservata immune da ogni macchia della colpa originale per una singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Cristo. Credo che l'immacolata sempre vergine Maria, Madre di Dio, compiuto il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in corpo e anima. Credo che la beata vergine Maria, congiunta sulla terra all'opera della nostra salvezza in modo del tutto singolare e con stretto e indissolubile vincolo, come nuova Eva e generosa compagna del Redentore, è Madre della Chiesa; e in cielo, esaltata dal Signore come Regina dell'universo, non ha smesso questo compito materno e salvifico, ma con la sua molteplice intercessione continua a mostrarsi a noi come mediatrice di grazia.

Credo che per grazia siamo stati salvati mediante la fede; creati in Cristo Gesú per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo. Credo che in Cristo Gesú non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità. Credo che Dio ricompensa coloro che lo cercano, e renderà a ciascuno secondo le sue opere.


Conclusione

Questa vera fede cattolica, senza la quale è impossibile essere graditi a Dio, che ora professo e mantengo sinceramente, voglio, con l'aiuto di Dio e l'intercessione della beata vergine Maria e di tutti gli Angeli e i Santi, fermamente ritenerla ed confessarla integra e immacolata fino all'ultimo respiro e, se necessario, fino all'effusione del sangue. Amen.