mercoledì 7 ottobre 2009

Ancora sull'origine del capitalismo

Vorrei riprendere il discorso iniziato ieri, a proposito dell’origine del capitalismo. Ci sono stati infatti dei contributi, che hanno allargato la prospettiva.

David ha preparato una ricostruzione storica, come al solito, molto interessante:

«La “paternità” del capitalismo è contesa — come da te giustamente scritto — da molti, soprattutto fra i cattolici del Quattro e Cinquecento e i calvinisti del Seicento, in relazione alle grandi compagnie commerciali che in quei periodi nacquero in Europa e si diffusero in tutto il mondo. (...)

A ben vedere, il capitalismo ha radici piú antiche, addirittura precedenti il Dugento. Il padre dello stesso San Francesco, Pietro di Bernardone, è un mercante: durante i suoi viaggi di affari conosce la moglie francese e piú tardi ha un figlio, Giovanni, detto “Francesco” proprio per gli stretti legami del padre con la Francia. Sappiamo che compra prodotti tessili di alta qualità dalla Francia e li rivende in Italia (e forse non solo qui) guadagnandone un margine di profitto tale da poter sperare di comprare un titolo nobiliare per il figlio. Ingenuità medievali, certo, ma perfettamente calate in un mondo dove capitale e impresa sono già realtà: Pietro non era un signore feudale né un artigiano ma il capitano di un’impresa. In quegli anni Sant’Omobono Tucenghi a Cremona, partendo da umili origini, mette su un’attività commerciale notevole nel settore laniero: reso celebre dalla sua eccezionale bontà verso i poveri, certamente possiamo definirlo un capitalista. Lo stesso discorso vale, ma oltre cento anni dopo, per Francesco Datini, che da garzone orfano di Prato sa cogliere le opportunità legate alla presenza della corte papale ad Avignone e si arricchisce enormemente. Datini non solo fa piú bella la sua città (pensiamo al Palazzo Datini e alla Villa del Palco), ma getta le basi per un miglioramento dei commerci grazie all’uso di lettere di cambio e assegni. Questi ultimi strumenti sono resi di dominio universale grazie alle banche toscane che ne fanno largo uso: pensiamo al Banco dei Medici ma anche al Monte dei Paschi di Siena, che è ancora oggi in attività. Ma già prima esistono imprese private legate al credito: il fallimento delle banche dei Bardi e dei Peruzzi nella metà del Trecento provoca una crisi economica persino superiore a quella seguita al crollo di Lehman Brothers. Sono i Medici, comunque, a dare un contributo notevole allo sviluppo della contabilità con il miglioramento del libro mastro attraverso l’inserimento del sistema della partita doppia che rende piú evidenti crediti e debiti. Parliamo di imprese bancarie, non di attività usuraie, è bene notarlo.

Soprattutto, nel Medio Evo si sviluppa e si perfeziona un’altra caratteristica del capitalismo: le compagnie commerciali creano una fitta rete di branches, cioè di filiali, ognuna in solidarietà con la casa madre e fra di loro: siamo agli albori della moderna impresa multinazionale! Non parliamo di realtà piccole: molte imprese aprono rappresentanze in ben tre continenti (Europa, Asia e Africa). Possiamo dire che i Polo sono i primi a avere gli headquarters in Asia: ma soprattutto, devono avere una rete di agenti fra Venezia, la Persia e la Mongolia!

Poi arriva il Cinquecento... I Medici si convertono da mercanti in signori feudali: Lorenzo il Magnifico non aveva mai voluto abbandonare la direzione dell’impresa di famiglia per fare il Principe. Dal Cinquecento la stessa Venezia cede le armi: i capitani delle compagnie commerciali lasciano la laguna e i rischi dell’impresa per il latifondo agricolo e gli investimenti immobiliari. Nel Nord Europa lo Stato assoluto e i principi illuminati non stanno piú a guardare, ma si gettano anima e corpo — insieme a privati — nello sfruttamento commerciale delle colonie: finiscono l’epoca del capitalismo cattolico (dove si vuol conquistare il mondo intero senza perdere l’anima) e quella del “meticciato” (gli spagnoli si erano mescolati agli indios senza mai teorizzare teorie razziste e uno sfruttamento sistematico delle risorse umane indie), inizia il periodo d’oro delle grandi imprese commerciali dei protestanti inglesi, dei calvinisti olandesi e dei loro alleati portoghesi. Costoro non si accontentano piú di guadagnare un interesse sui talenti investiti, secondo le parole del Maestro Divino, ma entrano nella piú lucrosa impresa commerciale della storia dell’umanità: la tratta degli schiavi. Per duecento anni Londra e Amsterdam vendono ai privati le obbligazioni e le azioni di imprese negriere: tutti titoli sicuri, perché il costo della materia prima è irrisorio e il margine spesso enorme. Se una nave sta per fare naufragio, si scarica la “merce” in mare per non perdere il bastimento e si torna indietro a fare un nuovo carico. Persino il padre nobile dell’Illuminismo, Voltaire, si arricchisce investendo i risparmi in questi titoli. Solo con la fine della tratta, alla fine del Settecento, ha inizio la vera stagione del capitalismo dell’epoca industriale. Da quel momento, per circa cento anni, gli schiavi sono milioni di bambini a cui l’ancien régime almeno garantiva un minimo di istruzione e di sostentamento. Ma questa è un’altra storia...».

Come si può vedere da questa veloce carrellata, il capitalismo è precedente, non solo al calvinismo, ma addirittura allo stesso Quattrocento.

Un altro Davide, questa volta da Milano (il precedente, se non lo aveste ancora capito, è di Prato), mi ha chiesto che cosa penso de La vittoria della ragione di Rodney Stark. Confesso di non aver letto il libro, ma ho letto qualche recensione, dalla quale sono giunto alla conclusione che si tratti di un volume estremamente importante in vista di quella “disintossicazione” a cui facevo riferimento ieri. Potete trovare abbondante materiale di riflessione sul sito StoriaLibera.it. In particolare, vi consiglio una o l’altra delle due recensioni di Massimo Introvigne (per completezza, potete aggiungere l’intervista rilasciata da Stark allo stesso Introvigne, pubblicata sul sito del CESNUR).

Ebbene, penso che il lavoro di Stark sia importante perché:

1. Sposta ulteriormente la data di nascita del capitalismo: non il XVI secolo (come voleva Weber), né il Qauttrocento (come ci ricordava ieri Cardini), né il “Dugento” (come sostenuto oggi da David), ma addirittura il IX secolo: il capitalismo è nato nei monasteri; i monaci sono stati i primi capitalisti. E ciò risulta ben comprensibile, se riflettiamo sugli effetti del voto di povertà, che impone la messa in comune dei beni. Tale retrodatazione è un’ulteriore prova — se ce ne fosse ancora bisogno — che il Medioevo non è affatto quel periodo “buio” nella storia dell’umanità, che certa propaganda vorrebbe farci credere.

2. Inquadra il capitalismo in un contesto piú vasto, collegando lo sviluppo economico al progresso scientifico e al riconoscimento dei diritti dell’uomo, che comprendono la libertà politica e la proprietà privata. E individua nel cristianesimo (specificamente, nel cattolicesimo) la condizione che ha reso possibile l’affermarsi della scienza, della democrazia e dello sviluppo economico. Molto interessante il fondamento teologico con cui Spark spiega tale connessione: il cristianesimo è l’unica religione compatibile con la ragione (da cui il titolo del libro).

3. Pone l’origine del capitalismo non nell’Europa settentrionale, ma in Italia. Perché? Esattamente perché in Italia, paese cattolico, si realizzano le condizioni per la nascita del capitalismo: sviluppo scientifico (università), libertà politica (comuni) e proprietà privata (finalizzata al bene comune). Il declino economico italiano, nel Seicento, si spiega con la perdita di una delle suddette condizioni: la libertà politica.

4. Dimostra, in maniera pressoché definitiva, che il capitalismo non si sviluppò in Francia e Spagna non perché paesi cattolici, ma perché monarchie assolute; si sviluppò invece in Inghilterra non perché essa ripudiò il cattolicesimo, ma perché in essa si erano conservati quei corpi intermedi e quelle libertà cittadine e comunali risalenti all’epoca cattolica (e che successivamente sarebbero stati trapiantati nel nuovo mondo). Il calvinismo, nonché favorire la nascita del capitalismo, ne provocò la distruzione in vaste aree dei Paesi Bassi. Il protestantesimo, contrariamente a quanto sostenuto da Weber, danneggiò l’economia moderna nascente e ne ritardò il progresso.

Personalmente trovo l’opera di Stark come la confutazione — a sua volta difficilmente confutabile — della teoria di Weber. Come dicevo, forse dovremmo leggere La vittoria della ragione per “disintossicarci” della propaganda anticattolica, che per secoli è stata propalata ai quattro venti e che ha finito per convincerci che, davvero, la Chiesa cattolica è sempre stata contro il progresso e che questo è stato reso possibile solo dal ripudio del cattolicesimo. Stark dimostra che è vero esattamente il contrario: è proprio il cattolicesimo all’origine del progresso in ogni campo: scientifico, politico ed economico.

In secondo luogo, dovremmo leggere l’opera di Stark per ritrovare, come italiani, un po’ di autostima. Anche qui, per secoli hanno continuato a ripeterci (e alla fine ci abbiamo creduto) che l’Italia, almeno sino alla sua unificazione nazionale, non era nulla: in confronto alle grandi nazioni europee (Francia, Inghilterra, Spagna...), che cosa era l’Italia? Una mera “espressione geografica”, secondo Metternich. Sapevamo già di essere sempre stati i primi in campo artistico e letterario; ora veniamo a sapere che eravamo i primi anche in campo economico. Vi sembra poco? Non siamo mai stati, è vero, una grande potenza politica e militare. E con ciò? Vi sembrano questi i valori assoluti? Anzi, dovremmo andar fieri di non aver sterminato i popoli, ma di avere, al contrario, contribuito al loro sviluppo con la condivisione della fede e della civiltà.

Infine, vorrei fare un’ultima riflessione. Solitamente, quando abbiamo una forte identità cattolica, siamo portati a essere un po’ conservatori, anche sul piano politico. Per cui siamo tentati di guardare con una certa nostalgia a modelli politici del passato, quali lo Stato centralizzato e l’assolutismo monarchico. Ebbene, Stark ci dimostra che ciò non fa parte della nostra storia: la nostra storia è fatta di... libertà comunali. La democrazia (non come ideologia, ma come sistema politico che garantisce le libertà personali) è iscritta nel nostro DNA di cattolici e di italiani. Forse dovremmo, ancora una volta, riappropriarci della nostra storia e andarne fieri, senza complessi di colpa o di inferiorità.