martedì 27 luglio 2010

"Riforma della Riforma"

Riporto il mio secondo articolo pubblicato sull’Eco dei Barnabiti, n. 2/2010 (pp. 12-13), nella rubrica “Osservatorio ecclesiale”. Come nel caso del primo articolo, niente di nuovo per i lettori di questo blog: si tratta semplicemente di un tentativo di divulgazione per il grande pubblico.


Nel precedente numero dell’Eco ci siamo soffermati su quella che può essere considerata la “chiave di lettura” del Concilio Vaticano II e dell’attuale pontificato: la cosiddetta “ermeneutica della riforma”.

Il primo documento approvato dai Padri conciliari fu la Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963). La riforma liturgica, che ne scaturì, è sempre stata considerata un po’ come il “fiore all’occhiello” del Concilio, e le è stato attribuito un valore emblematico, quale “icona” della più generale riforma della Chiesa avviata dal Vaticano II. La Sacrosanctum Concilium considera la liturgia come «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua forza» (n. 10). Essa, perciò, occupa un posto centrale nella vita della Chiesa. In particolare, esiste un rapporto strettissimo fra liturgia e fede: la liturgia esprime la fede della Chiesa, costituisce una delle principali testimonianze della tradizione e riveste un carattere normativo per i fedeli (lex orandi, lex credendi).

Non meraviglia quindi che un grande teologo come Joseph Ratzinger, pur non essendo un liturgista di professione, abbia riservato alla liturgia un’attenzione particolare, che è andata man mano aumentando col passare degli anni. Proprio per la centralità che la liturgia occupa nella vita della Chiesa, il Card. Ratzinger giunse alla conclusione che esiste un rapporto di causalità diretta tra il crollo della liturgia, a cui abbiamo assistito dopo il Concilio, e la crisi in cui si dibatte la Chiesa ai nostri giorni:

«Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita etsi Deus non daretur: come se in essa non importasse più se Dio c’è, e se ci parla e ci ascolta» (Il Dio vicino, Edizioni San Paolo, 2003, p. 21).

L’opera in cui il Card. Ratzinger raccolse le sue riflessioni in materia liturgica è l’Introduzione allo spirito della liturgia, pubblicato in tedesco (Eindführung in den Geist der Liturgie) nel 1999 e tradotto in italiano dalle Edizioni San Paolo nel 2001. Con quel libro — che anche nel titolo si ricollega all’opera che aveva segnato l’inizio del movimento liturgico in Germania: Lo spirito della liturgia di Romano Guardini (1918) — il Card. Ratzinger si prefiggeva di dar vita a un nuovo “movimento liturgico”, «un movimento verso la liturgia e verso una sua corretta celebrazione, esteriore ed interiore» (p. 6). Tale proposito si spiega con la constatazione che qualcosa nella riforma liturgica promossa dal Vaticano II non ha funzionato. Nella premessa al citato volume, il Card. Ratzinger ricorreva a un paragone efficace per spiegare ciò che è avvenuto nella Chiesa durante e dopo il Concilio:

«Si potrebbe dire che la liturgia era allora — nel 1918 —, per certi aspetti, simile a un affresco che si era conservato intatto, ma che era quasi coperto da un intonaco successivo: nel messale, con cui il sacerdote la celebrava, la sua forma era pienamente presente, così come si era sviluppata dalle origini, ma per i credenti essa era ampiamente nascosta da istruzioni e forme di preghiera di carattere privato. Grazie al movimento liturgico e — in maniera definitiva — grazie al Concilio Vaticano II, l’affresco fu riportato alla luce e per un momento restammo tutti affascinati dalla bellezza dei suoi colori e delle sue figure. Ma nel frattempo, a causa dei diversi errati tentativi di restauro o di ricostruzione, nonché per il disturbo arrecato dalla massa dei visitatori, questo affresco è stato messo gravemente a rischio e minaccia di andare in rovina, se non si provvede rapidamente a prendere le misure necessarie per porre fine a tali influssi dannosi. Naturalmente non si deve tornare a coprirlo di intonaco, ma è indispensabile una nuova comprensione del suo messaggio e della sua realtà, così che l’averlo riportato alla luce non rappresenti il primo gradino della sua definitiva rovina» (pp. 5-6).

Mi sembra che questa similitudine esprima bene il giudizio del Card. Ratzinger sulla riforma liturgica e la sua convinzione che si renda necessario un ulteriore intervento per impedire che l’“affresco” della liturgia vada definitivamente perduto. In altre dichiarazioni il giudizio del Card. Ratzinger appare ancor più esplicito e drastico:

«Il risultato [della riforma liturgica] non è stato una rianimazione, ma una devastazione [...]. Al posto della liturgia frutto di uno sviluppo continuo, è stata messa una liturgia fabbricata. Si è usciti dal processo vivente di crescita e di sviluppo per entrare nella fabbricazione. Non si è più voluto il divenire e la maturazione organica di Dio che vive attraverso i secoli e lo si è sostituito a mo’ di produzione tecnica, con una fabbricazione banale del momento» (“Prefazione” a Klaus Gamber, La réforme liturgique en question, Le Barroux, 1992);

«[Nella riforma liturgica] si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì un altro, sia pure con il materiale di cui era fatto l’edificio antico e utilizzando i progetti precedenti» (La mia vita, Edizioni San Paolo, 1997, p. 114).

In una intervista rilasciata al quotidiano francese La Croix il 28 dicembre 2001, il Card. Ratzinger giunse ad auspicare una “riforma della riforma”:

«Alcuni addetti ai lavori vorrebbero far credere che tutte le idee non perfettamente conformi ai loro schemi sono un ritorno nostalgico al passato [...]. Lo dicono solo per partito preso. Bisogna riflettere seriamente sulle cose e non accusare gli altri di essere partigiani di san Pio V [...]. Ogni generazione ha il compito di migliorare e rendere più conforme allo spirito delle origini la liturgia. E penso che effettivamente oggi c’è motivo di lavorare molto in questo senso, e riformare la riforma. Senza rivoluzioni (sono un riformista, non un rivoluzionario), ma un cambiamento ci deve essere. Dichiarare impossibile a priori ogni miglioramento mi sembra un dogmatismo assurdo».

* * *

Il 19 aprile 2005 il Card. Joseph Ratzinger è diventato Benedetto XVI. Solitamente, quando si assume una qualsiasi carica, si è costretti ad abbandonare, per motivi di opportunità, l’asprezza dei toni nelle dichiarazioni; ma è anche vero che, dall’alto, il più delle volte si vedono le cose in una luce diversa, che permette spesso di ridimensionare i giudizi precedentemente formulati. Ovviamente non possiamo sapere che cosa sia avvenuto nell’animo di Joseph Ratzinger dopo l’elezione al soglio pontificio. Del resto non è neanche tanto importante sapere che cosa l’attuale Pontefice pensi come “dottore privato”; ciò che conta è quanto egli fa come pastore supremo della Chiesa. Ebbene, quali sono stati gli interventi di Benedetto XVI in campo liturgico in questi cinque anni di pontificato?

Forse quanti si attendevano una immediata e profonda revisione della riforma liturgica sono rimasti delusi. L’unica modifica formale operata sul rito della Messa in questi anni è stata l’introduzione, nella “III edizione tipica emendata” del Messale latino, di tre formule alternative di congedo (da affiancarsi al tradizionale “Ite, missa est”), modifica per altro suggerita dal Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia del 2005 e già presente in diverse traduzioni del Messale (compresa quella italiana). Un po’ poco per quanti si aspettavano mutamenti radicali.

Recentemente è stata annunciata l’approvazione definitiva della nuova traduzione in inglese del Missale Romanum: un evento che può certamente definirsi epocale, se si considera l’impatto che avrà su milioni di fedeli in ogni parte del mondo; ma che non modifica in alcun modo il rito della Messa (si tratta semplicemente di una traduzione più fedele, letterale, del Messale latino di Paolo VI, secondo le norme emanate nel 2001 con l’istruzione Liturgiam authenticam).

Che ne è stato allora della “riforma della riforma”? Benedetto XVI non ha mai utilizzato in questi anni tale espressione, anche se continuano a farne largo uso i seguaci di quel “movimento liturgico”, da lui auspicato nell’Introduzione allo spirito della liturgia ed effettivamente sorto in tempi recenti (si pensi, per esempio, al New Liturgical Movement diffuso nei paesi di lingua inglese). Papa Ratzinger ha dunque rinnegato tutti i pronunciamenti fatti da cardinale? Anche se non è mai intervenuto direttamente per modificare la liturgia e non si è mai espresso ufficialmente, Benedetto XVI ha nondimeno adottato una serie di misure, che permettono di intravvedere la sua “politica” in campo liturgico.

Innanzi tutto, le celebrazioni liturgiche da lui presiedute hanno assunto negli ultimi anni uno stile diverso. Gli elementi più appariscenti del nuovo stile sono i candelieri e il crocifisso (perlopiù di foggia tradizionale) rimessi sull’altare e la comunione distribuita sulla lingua ai fedeli inginocchiati, oltre che la frequente riutilizzazione di antichi paramenti liturgici. Naturalmente, non si tratta dell’imposizione di una normativa vincolante per tutti, ma solo di una proposta offerta a quanti vogliono liberamente seguirla.

Una decisione che ha fatto molto discutere è stata la liberalizzazione dei libri liturgici preconciliari, avvenuta col motu proprio Summorum Pontificum nel 2007. A molti è parsa una sconfessione della riforma liturgica; ma nel documento — e soprattutto nella lettera accompagnatoria — si spiega che non si vuole in alcun modo mettere in discussione la riforma: si vuole solo dare la possibilità, ai fedeli che lo desiderino, di celebrare la liturgia secondo quella che viene ora chiamata la “forma straordinaria” del rito romano (rimanendo la “forma ordinaria” quella scaturita dalla riforma liturgica promossa dal Vaticano II e approvata da Paolo VI). Nella citata lettera ai Vescovi, però, Benedetto XVI non nasconde un intento che in qualche modo riprende i voti da lui formulati quando era ancora cardinale:

«Le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi [...]. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso».

Da questo passo parrebbe di capire che il Papa abbia, almeno per il momento, rinunciato a qualsiasi tipo di intervento diretto sulla liturgia e abbia optato per un atteggiamento più soft: anziché modificare i riti d’autorità, si direbbe che egli preferisca lasciare che l’antica liturgia, ormai liberalizzata, e le cerimonie pontificie, che hanno riacquistato un’aura di ieraticità, esercitino gradatamente il loro influsso sulle celebrazioni liturgiche ordinarie. Una politica così discreta otterrà il risultato sperato? Staremo a vedere.

In ogni caso, sembrerebbe che la tanto decantata “riforma della riforma” sia stata, almeno temporaneamente, messa da parte. A dire il vero, l’estate scorsa erano apparse sulla stampa alcune indiscrezioni su possibili adattamenti dei riti liturgici, prontamente smentite dalla Santa Sede. In autunno, però, il Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Card. Antonio Cañizares Llovera, in una intervista a Catalunya Cristiana, ha confermato che il suo Dicastero ha preso in esame la questione:

«Quello che posso dire è che è un periodo molto importante per tutti, si è lavorato intensamente, c’è stata una Plenaria della Congregazione, e si sono stilate delle proposte che il Santo Padre ha approvato e che costituiscono la base del nostro lavoro. Il grande obiettivo è di rivitalizzare lo spirito della liturgia in tutto il mondo [...]. Il tema più urgente, e che si sente con urgenza in tutto il mondo, è che il senso della liturgia deve essere ritrovato. Questo non significa semplicemente cambiare rubriche o introdurre nuove cose, ma si tratta semplicemente che la liturgia deve essere vissuta e che deve essere al centro della vita della Chiesa [...]. Dobbiamo recuperare quello che non avrebbe mai dovuto perdersi. Il più grande male che è stato fatto all’uomo è stato il tentativo di eliminare dalla sua vita la trascendenza e la dimensione del mistero».

Come si può vedere, il Card. Cañizares non scende nei particolari, ma conferma che si sta lavorando a una qualche “riforma della riforma”. Sembrerebbe però di capire che non si tratterà tanto di radicali modifiche agli attuali riti, quanto piuttosto di un riposizionamento della liturgia al centro della vita della Chiesa e di un recupero del senso del mistero, che deve tornare a caratterizzare il culto divino (attraverso quali mezzi, si vedrà). E su questo penso che tutti possano trovarsi d’accordo.