giovedì 7 ottobre 2010

"Deitalianizzare" la Curia Romana?

È stata annunciata oggi la nomina dell’Arcivescovo Mauro Piacenza, finora Segretario della Congregazione per il Clero, a Prefetto del medesimo Dicastero.

La notizia mi ha fatto piacere non perché io conosca personalmente Mons. Piacenza, né perché egli sia figlio spirituale del Card. Siri (certo, anche questo non guasta); ma semplicemente perché è un… italiano.

Oibò, direte voi, ritiriamo fuori queste vecchie storie? Ormai viviamo in un mondo globalizzato; la Chiesa, grazie a Dio, sta diventando sempre piú universale; è giusto che anche la Curia Romana si internazionalizzi. Certo, non sarò io a dire che si debba tornare a una Curia tutta italiana: è inevitabile, non solo, ma è anche giusto che nella Curia Romana siano rappresentate le diverse componenti della Chiesa, che per sua natura è cattolica. Osservo però che l’internazionalizzazione della Curia finora non ha significato automaticamente una sua maggiore efficienza. Anzi…

Come in tutte le cose, anche qui ci vuole una certa competenza; e non si può negare che in Italia, soprattutto in alcune regioni, esisteva presso il clero (e continua a esistere, grazie a Dio) una lunga tradizione di servizio alla Chiesa, nei dicasteri romani e nella diplomazia. Bisogna serenamente riconoscere che negli ultimi anni, talvolta piú per motivi ideologici che non per reale necessità, si è preferito chiamare a Roma persone che non hanno sempre esibito la preparazione richiesta per certi ruoli delicati.

Recentemente il Dott. Robert Moynihan, direttore di Inside the Vatican (purtroppo la sua periodica Newsletter non viene piú pubblicata nel sito della rivista; ma potete leggere la Lettera #40 a questo indirizzo), dopo aver fatto notare che, mentre nel 1903 (elezione di Pio X) i cardinali italiani costituivano il 56,25% del Collegio, attualmente la percentuale si aggira sul 17%, poneva tutta una serie di domande a proposito di una possibile "deitalianizzazione" della Curia Romana, senza però dare risposte.

Da parte mia, dirò che, sebbene l’essere italiani non costituisca, di per sé, una garanzia di efficienza per la Curia (e, di riflesso, per il bene della Chiesa), sarebbe illusorio pensare che la Curia Romana abbia da guadagnare qualcosa dalla scomparsa o dall’estrema rarefazione della presenza italiana. Certamente la Chiesa italiana ha ancora molto da offrire alla Chiesa universale. E per questo, sapere che ci sarà un nuovo Prefetto (e un nuovo Cardinale) italiano non può che far piacere.