sabato 6 novembre 2010

Una traduzione fedele

Finora, nei miei interventi sulla nuova traduzione della CEI non ho fatto altro che lamentarmi. Questa volta, invece, non posso che rallegrarmi. Mi riferisco alla seconda lettura della Messa di questa XXXII domenica “per annum”: 2 Tessalonicesi 2:16—3:5.

Finora il versetto 3:1 suonava: «Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore si diffonda e sia glorificata come lo è anche tra voi». La nuova versione lascia tutto immutato fuorché un verbo: anziché “si diffonda”, traduce letteralmente “corra” (in greco: τρέχῃ). Stupendo! Pregate, fratelli, perché la parola di Dio corra… Si dirà: beh, ma che vuol dire? non significa, appunto, che essa si deve diffondere? Sí, ma volete mettere? È un’altra musica. O, per lo meno, questo è ciò che ha scritto Paolo. Ed è giusto che anche i lettori moderni possano non solo percepire un concetto (che la parola di Dio si diffonda…), ma possano anche gustare le parole con cui Paolo ha voluto esprimere quel concetto, parole che aggiungono a quel concetto una carica emotiva che in sé stesso non possiede. La vita non è fatta solo di idee, ma anche di immagini, sensazioni, impressioni… Perché defraudare la Scrittura della sua ricchezza? Qualcuno risponderà: per renderla piú intelligibile; per facilitare all’uomo d’oggi la sua comprensione. Ma perché, pensate che l’uomo d’oggi non sia in grado di cogliere il senso della metafora del “correre” applicata alla parola di Dio? Lo credete cosí idiota?

Questo caso dimostra come, in fondo, sarebbe facile tradurre fedelmente la Bibbia: basterebbe tradurla letteralmente. Nel testo originale c’è scritto “corra”? Si traduce con “corra”. Perché cambiarlo? Perché andare a cercare altre espressioni, che finiscono per essere inevitabilmente una interpretazione soggettiva? Mi chiedo allora: se è stato possibile, ed è stato cosí semplice, correggere in senso positivo la vecchia traduzione in questo passo, perché non lo si è fatto anche altrove? È buona norma, quando ci si accinge a un lavoro di questo genere, stabilire all’inizio i criteri che si seguiranno durante il lavoro, e poi sforzarsi di applicarli con una certa uniformità. È chiedere troppo?