lunedì 25 aprile 2011

Stravaganze di traduzione e di interpretazione

In queste ultime settimane, leggendo il vangelo che la liturgia di volta in volta ci proponeva, non ho potuto evitare di fare alcune considerazioni sulla stravaganza di certe traduzioni e di certe interpretazioni.

1. Nella terza domenica di Quaresima abbiamo letto il vangelo della Samaritana (Gv 4:5-42). Riporto solo alcuni versetti nel testo originale greco, nella traduzione latina della Neovolgata e nelle due traduzioni della CEI (1974 e 2008). Notate i tempi dei verbi:

GRECO: «4:5 ἔρχεται οὖν εἰς πόλιν τῆς Σαμαρείας λεγομένην Συχὰρ πλησίον τοῦ χωρίου ὃ ἔδωκεν Ἰακὼβ (τῷ) Ἰωσὴφ τῷ υἱῷ αὐτοῦ· 6 ἦν δὲ ἐκεῖ πηγὴ τοῦ Ἰακώβ. ὁ οὖν Ἰησοῦς κεκοπιακὼς ἐκ τῆς ὁδοιπορίας ἐκαθέζετο οὕτως ἐπὶ τῇ πηγῇ· ὥρα ἦν ὡς ἕκτη. 7 ἔρχεται γυνὴ ἐκ τῆς Σαμαρείας ἀντλῆσαι ὕδωρ. λέγει αὐτῇ ὁ Ἰησοῦς, δός μοι πεῖν· 8 οἱ γὰρ μαθηταὶ αὐτοῦ ἀπεληλύθεισαν εἰς τὴν πόλιν, ἵνα τροφὰς ἀγοράσωσιν. 9 λέγει οὖν αὐτῷ ἡ γυνὴ ἡ Σαμαρῖτις, πῶς σὺ Ἰουδαῖος ὢν παρ’ ἐμοῦ πεῖν αἰτεῖς γυναικὸς Σαμαρίτιδος οὔσης; οὐ γὰρ συγχρῶνται Ἰουδαῖοι Σαμαρίταις. 10 ἀπεκρίθη Ἰησοῦς καὶ εἶπεν αὐτῇ, εἰ ᾔδεις τὴν δωρεὰν τοῦ θεοῦ…».

NEOVOLGATA: «4:5 Venit ergo in civitátem Samaríæ, quæ dícitur Sichar, juxta prǽdium, quod dedit Jacob Joseph fílio suo; 6 erat autem ibi fons Jacob. Jesus ergo fatigátus ex itínere sedébat sic super fontem; hora erat quasi sexta. 7 Venit múlier de Samaría hauríre aquam. Dicit ei Jesus: “Da mihi bíbere”; 8 discípuli enim ejus abíerant in civitátem, ut cibos émerent. 9 Dicit ergo ei múlier illa Samaritána: “Quómodo tu, Judǽus cum sis, bíbere a me poscis, quæ sum múlier Samaritána?”. Non enim coutúntur Judǽi Samaritánis. 10 Respóndit Jesus et dixit ei: “Si scires donum Dei...”».

CEI 1974: «4:5 Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6 qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. 7 Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”. 8 I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. 9 Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. 10 Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio…”».

CEI 2008: «4:5 Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6 qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7 Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: “Dammi da bere”. 8 I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9 Allora la donna samaritana gli dice: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10 Gesù le risponde: “Se tu conoscessi il dono di Dio...”».

Come potete vedere, nell’originale greco (seguito pedissequamente dalla Neovolgata) abbiamo un passaggio piuttosto disinvolto dal presente (i primi quattro verbi) al passato (gli ultimi due). La traduzione CEI del 1974 aveva deciso, abbastanza comprensibilmente, di non tener conto dell’uso variegato dei tempi nell’originale, e di tradurre tutti i verbi al passato remoto. Che ti fa invece la nuova versione della CEI? Traduce il primo verbo (che nell’originale è al presente) con un passato remoto, e poi passa al presente, che conserva anche lí dove l’originale usa il passato. Confesso di far difficoltà a cogliere il criterio che ha guidato la nuova traduzione.

2. Il lunedí della quinta settimana di Quaresima la liturgia ci ha proposto il brano dell’adultera (Gv 8:1-11). Anche in questo caso mi limito ad alcuni versetti. Soffermatevi ancora una volta sui tempi:

GRECO: «8:1 Ἰησοῦς δὲ ἐπορεύθη εἰς τὸ ὄρος τῶν ἐλαιῶν. 2 Ὄρθρου δὲ πάλιν παρεγένετο εἰς τὸ ἱερόν, καὶ πᾶς ὁ λαὸς ἤρχετο πρὸς αὐτόν, καὶ καθίσας ἐδίδασκεν αὐτούς. 3 ἄγουσιν δὲ οἱ γραμματεῖς καὶ οἱ Φαρισαῖοι γυναῖκα ἐπὶ μοιχείᾳ κατειλημμένην καὶ στήσαντες αὐτὴν ἐν μέσῳ 4 λέγουσιν αὐτῷ, διδάσκαλε, αὕτη ἡ γυνὴ κατείληπται ἐπ’ αὐτοφώρῳ μοιχευομένη...».

NEOVOLGATA: «8:1 Jesus autem perréxit in montem Olivéti. 2 Dilúculo autem íterum venit in templum, et omnis pópulus veniébat ad eum, et sedens docébat eos. 3 Addúcunt autem scribæ et pharisǽi mulíerem in adultério deprehénsam et statuérunt eam in médio 4 et dicunt ei: “Magíster, hæc múlier manifésto deprehénsa est in adultério…”».

CEI 1974: «8:1 Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. 2 Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. 3 Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, 4 gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio…”».

CEI 2008: «8:1 Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2 Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3 Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4 gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio…”».

Come potete notare, nell’originale i verbi dei vv. 1-2 sono al passato, mentre quelli dei vv. 3-4 sono al presente. Come al solito, la Neovolgata, immune da preoccupazioni stilistiche, traduce alla lettera. In questo caso invece c’è da notare come la vecchia traduzione della CEI rendesse anche in italiano la varietà dei tempi dell’originale. La nuova traduzione, che pure in molti casi sembrerebbe aver seguito un criterio di maggior fedeltà alla lettera dell’originale, in questo caso, al contrario, traduce tutti i verbi al passato. Mi chiedo se gli esperti della CEI, prima di accingersi alla revisione della traduzione della Bibbia, si siano seduti intorno a un tavolo per decidere quali criteri seguire.

3. Dalle traduzioni passiamo alle interpretazioni. In questo caso, nulla da eccepire sulle traduzioni, che sono state fatte correttamente; ciò che voglio evidenziare è invece la disinvoltura con cui siamo talvolta portati a intendere certe espressioni.

La domenica delle palme abbiamo letto il racconto della passione nella versione di Matteo. Ebbene, quando viene narrata l’ultima cena, si dice:

«Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti (περὶ πολλῶν) per il perdono dei peccati» (Mt 26:27-28).

Tutti gli esegeti ci assicurano che “per molti” è un semitismo che significa in realtà “per tutti”, tanto è vero che, nelle traduzioni liturgiche, le parole della consacrazione hanno adottato tale espressione. Non voglio ora entrare nella questione se sia piú o meno opportuno nella Messa conservare l’espressione originale (pro multis); qui mi interessa solo sottolineare che, secondo gli esegeti, “molti” significa “tutti”.

Ebbene, nel medesimo racconto della passione secondo Matteo, poco piú avanti leggiamo:

«E tutto il popolo (πᾶς ὁ λαός) rispose: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”» (Mt 27:25).

Il tal caso i medesimi esegeti si affrettano a informarci che “tutto il popolo” non si riferisce all’intero popolo di Israele, ma soltanto ad alcuni membri di esso, vale a dire alla folla che in quel momento si era radunata nel tribunale di Pilato. Sí, certo, è piú che ragionevole pensare che, in questo caso, “popolo” sia semplicemente sinonimo di “folla”; appare piuttosto difficile che “tutto il popolo” potesse essere presente (e infatti abbiamo appena incontrato in Gv 8:1 la medesima espressione con questo significato). Ma c’è da notare che Matteo, per parlare della folla, usa in quel contesto un altro termine: ὄχλος, che significa appunto “folla” (cf vv. 15; 20; 24). Come mai in questo caso, invece, parla di “tutto il popolo”? Non ci sarà per caso qualche motivo teologico? Comprendo i rischi di antisemitismo in cui si potrebbe incorrere (vi accenna Nostra aetate n. 4); ma ciò non ci esime dal prendere atto, con obiettività, di ciò che l’evangelista ha effettivamente scritto e cercare di comprenderne il significato. Altrimenti, saremo costretti a concludere che, nelle lingue semitiche, “molti” significa “tutti” e “tutti” significa “alcuni”.