martedì 28 luglio 2009

Cristianesimo e Islam

Di tanto in tanto torna alla ribalta il problema del rapporto fra Cristianesimo e Islam; segno, questo, che si tratta di una questione molto viva e attuale.

Circa un mese fa AsiaNews pubblicava l’intervento di Padre Samir Khalil Samir all’annuale incontro del Comitato scientifico della rivista Oasis, fondata dal Card. Scola, incontro svoltosi a Venezia, sull’isola di San Giorgio, nei giorni 22-23 giugno scorsi.

Ieri Sandro Magister ha postato, sul sito www.chiesa, un articolo, in cui si riprende un editoriale di Padre Giovanni Sale per La Civiltà Cattolica (quaderno 3817 del 4 luglio 2009), insieme con i risultati di una ricerca condotta recentemente sui programmi trasmessi dalle reti tv dei paesi arabi (risultati pubblicati in Italia nel volume Media arabi e cultura nel Mediterraneo, a cura di Ornella Milella e Domenico Nunnari, Gangemi Editore, Roma, 2009).

In entrambi i casi si tratta di interventi interessanti, sui quali mi trovo sostanzialmente d’accordo, ma con qualche riserva.

1. Condivido l’attenzione che si rivolge verso il mondo islamico. Si tratta di una realtà importante del mondo contemporaneo, che non possiamo in alcun modo ignorare. Anche perché non è piú una realtà lontana da noi, ma ce la ritroviamo in casa e siamo costretti a fare i conti con essa. Un cristiano, inoltre, deve essere sempre molto attento a ciò che accade intorno a lui, per individuare eventuali spazi che gli si possono aprire per l’annuncio del Vangelo. Il cristianesimo non è una religione etnica, che si possa identificare con un determinato popolo; esso è, per sua natura, una religione universale, non solo aperta, ma destinata a tutti gli uomini.

2. Mi lascia invece un po’ perplesso l’atteggiamento che i cristiani hanno assunto recentemente verso l’Islam (e le altre religioni in genere). Con la scusa del rispetto e del dialogo, non sono piú preoccupati di convertire gli uomini a Cristo, ma semplicemente di convivere con loro, lasciando che ciascuno rimanga com’è. Ma quello che meraviglia ancora di piú è che i cristiani, mentre hanno rinunciato a farsi missionari del Vangelo, sembrano essersi trasformati in “missionari” dell’Occidente e dei suoi valori (tolleranza, libertà, democrazia, ecc.). Per carità, non è che un cristiano debba essere contro tali valori (che condivido pienamente), ma mi pare strano che debba essere proprio il cristiano a farsi portatore di tali valori presso i popoli. Non possiamo piú annunciare il Vangelo, ma dovremmo diffondere la democrazia nel mondo? C’è qualcosa che non mi torna. Padre Samir si chiede se noi cristiani, che abbiamo una piú lunga esperienza di confronto con la modernità, possiamo aiutare i musulmani a compiere lo stesso cammino che noi abbiamo compiuto. Padre Sale si chiede se le società islamiche possano trasformarsi in democrazie compiute di tipo occidentale. Ma perché tali preoccupazioni? Che importa a noi? Lasciamo che i musulmani facciano la loro strada: è un problema loro, non nostro. Oltretutto, non ci accorgiamo di avere ancora una mentalità totalmente eurocentrica, per cui solo ciò che facciamo noi è buono e tutto quello che fanno gli altri è sbagliato; la nostra esperienza è l’unica possibile e tutti gli altri sono destinati a percorrere il nostro stesso cammino; la nostra è una civiltà superiore e tutte le altre sono retrograde? A parte il fatto che è ancora tutto da dimostrare che noi siamo liberi e gli arabi non lo sono, che i nostri paesi sono democratici e quelli musulmani no, perché escludere che possano esistere dei modelli alternativi? In ogni caso, mi fa piacere sapere che fra gli Stati islamici ce ne siano almeno due democratici (Libano e Turchia); finora ci era sempre stato detto che Israele era l’unica democrazia del Medio Oriente…

3. Sono d’accordo che buona parte dei musulmani sia contro l’Occidente, perché vedono in esso un pericolo per la sopravvivenza della loro religione, della loro cultura, della loro civiltà. Essi sono contro l’Occidente non perché esso sia sinonimo di Cristianesimo, ma perché, al contrario, esso è diventato sinonimo di secolarizzazione; e non hanno tutti i torti. Personalmente, ho sempre spiegato in questo modo il fenomeno del fanatismo religioso, che si va via via diffondendo fra i musulmani (sia ben chiaro che “fanatismo” non si identifica con “terrorismo”, fenomeno su cui preferisco non esprimermi). Il fanatismo non fa parte della tradizione dell’Islam, che anzi è sempre stato piuttosto tollerante. Esso può essere spiegato solo come una forma di reazione a un supposto attacco, una forma di autodifesa, quanto si vuole irrazionale ma comprensibile, della propria civiltà.

4. In questa analisi del moderno Occidente, noi cristiani potremmo pure trovarci d’accordo con i musulmani. Che cosa è rimasto di cristiano all’Occidente? Praticamente nulla. Perché allora farci suoi difensori presso gli altri popoli? Semplicemente perché noi viviamo in Occidente? Ma non ci rendiamo conto che ormai la maggior parte dei cristiani non vive piú in Occidente? Perché piuttosto non ci chiediamo anche noi come potremmo rispondere al fenomeno della secolarizzazione? Il fanatismo, come giustamente rileva Padre Samir, può insinuarsi anche fra i cristiani. L’unica risposta valida sta nel ravvivare la nostra fede.

5. Una volta che si vive saldi nella fede, l’unica preoccupazione è quella di conservare tale fede e di diffonderla intorno a noi, infischiandocene di quel che nel frattempo accade all’Occidente e ai suoi valori. Chi vive nella fede non si angoscia piú di tanto per quel che vede avvenire intorno a sé; anzi, scopre delle opportunità (come oggi si dice) lí dove gli altri vedono solo rovina. Il mio ex-Superiore generale, che promosse la fondazione nelle Filippine (con un occhio alla Cina), soleva dire che il comunismo aveva reso un grande servizio alla Chiesa, perché aveva fatto piazza pulita di tutte le pseudo-religioni e le superstizioni diffuse fra i popoli, spianando cosí la strada all’evangelizzazione. Forse, aggiungo io, il comunismo non ha fatto in tempo a compiere la sua opera, ed è giunta la globalizzazione a proseguire il lavoro, con la secolarizzazione di cui si fa portatrice. Sta a noi cristiani scoprire in questo un’occasione per annunciare il Vangelo. A una condizione: che, anziché piangerci addosso e lasciarci a nostra volta sopraffare dalla secolarizzazione, teniamo viva la fiamma della fede, pronti ad appiccare il fuoco, non appena possibile, in ogni angolo della terra.